ECM-FAD
Issue 4 - 2022
Comorbidità nell’asma grave pediatrico
Abstract
È ormai noto che molti dei soggetti affetti da asma grave presentino spesso ulteriori patologie concomitanti, respiratorie e non, le cosiddette comorbidità asmatiche, che possono ampiamente impattare sul controllo dei sintomi e sulla qualità di vita, comportando anche una maggior perdita di funzionalità polmonare a lungo termine.
Negli anni, crescenti evidenze scientifiche hanno evidenziato l’esistenza non solo di una chiara correlazione epidemiologica tra l’asma e le sue comorbidità, ma anche di possibili meccanismi patogenetici comuni, responsabili di una mutua influenza bi-direzionale tra le patologie, con talora la possibilità di descrivere fenotipi asmatici ben distinti. In tale ottica, l’adeguata gestione delle comorbidità asmatiche potrebbe essere cruciale per proporre terapie personalizzate o aggiuntive di chiara efficacia nel paziente con asma grave.
Introduzione
L’asma bronchiale è una patologia infiammatoria cronica la cui prevalenza è in costante aumento. Attualmente, si stima che circa il 10-20% dei bambini di tutto il mondo sia affetto da asma. Di questi, circa il 2,5% soffre di asma grave, definito come asma non controllato nonostante l’aderenza a terapie anti-asmatiche massimali. A tutt’oggi, questa modesta quota di bambini affetti da asma grave comporta ingenti costi sanitari, in termini di utilizzo di risorse mediche, consumo di farmaci, assenteismo scolastico e perdita di giorni lavorativi da parte dei genitori. È ormai conoscenza acquisita che molti dei soggetti affetti da asma grave presentino spesso ulteriori patologie concomitanti, respiratorie e non, le cosiddette comorbidità asmatiche, che possono ampiamente impattare sul controllo dei sintomi e sulla qualità di vita dei soggetti affetti, comportando inoltre una maggior perdita di funzionalità polmonare a lungo termine. Negli ultimi anni, la maggior comprensione della complessa patogenesi dell’asma ha indirizzato l’attenzione scientifica mondiale verso la necessità di terapie sempre più personalizzate e mirate.
Pertanto, lo scopo di questo corso FAD è quello di fornire una sintesi delle più recenti evidenze riguardanti la prevalenza, il ruolo patogenetico e la gestione terapeutica delle comorbidità dell’asma grave in generale e dell’asma grave pediatrico in particolare.
Asma bronchiale grave: definizione ed epidemiologia
L’asma bronchiale è una patologia infiammatoria cronica delle basse vie aeree, caratterizzata da sintomi variabili nel tempo (quali dispnea, wheezing, tosse secca, dolore toracico) e da iperreattività bronchiale determinante un’ostruzione tipicamente reversibile al flusso espiratorio. L’asma è una patologia eterogenea ed estremamente frequente in Pediatria, con una prevalenza di circa il 10% nella popolazione pediatrica italiana 1,2. In Italia circa il 2% dei bambini e adolescenti asmatici soffre di asma grave 1,2, una rara ma impegnativa condizione che tutt’oggi rappresenta un’importante causa di costi sanitari, assenze scolastiche, ricoveri, accessi in Pronto Soccorso (PS) e ridotta qualità di vita. Negli anni una maggior comprensione dell’eterogenea patogenesi dell’asma ha portato alla distinzione, nell’ambito dell’asma grave, tra il cosiddetto asma difficile da trattare, in cui un buon controllo dei sintomi può essere raggiunto attraverso la corretta identificazione e gestione di alcune caratteristiche trattabili, e il vero asma grave resistente alle terapie, in cui nonostante l’adeguata aderenza alle terapie anti-asmatiche massimali e la risoluzione delle cosiddette caratteristiche trattabili persiste uno scarso controllo clinico 1,3,4 (Box 1).
BOX 1. Le parole dell’asma grave: definizioni secondo la Task Force sull’asma grave dell’European Respiratory Society and American Thoracic Society (ERS/ ATS) 3 e i documenti Global INitiative for Asthma (GINA) 2022 1.
Asma difficile da trattare: asma grave il cui scarso controllo clinico dipende dalla presenza di caratteristiche trattabili, la cui corretta gestione porta al controllo dell’asma e a uno step-down terapeutico 1,3. |
Asma difficile refrattario: asma grave dovuto in parte alla presenza di caratteristiche trattabili, che benché identificate risultano non risolvibili 3. |
Asma grave resistente alle terapie: asma grave che permane non controllato nonostante l’adeguata aderenza a terapie convenzionali massimali (dosi alte di steroidi inalatori + beta2-agonisti a lunga durata d’azione o mantenimento con steroidi sistemici 1) e la gestione delle cosiddette caratteristiche trattabili, o in cui si verifica una perdita di controllo non appena si tenta uno step-down delle terapie massimali 1,3. |
Caratteristiche trattabili: fattori clinicamente rilevanti, identificabili e modificabili che influenzano il controllo dell’asma, quali la correttezza di diagnosi e prescrizione, l’aderenza alle terapie prescritte con buona tecnica inalatoria, l’esposizione ambientale ad allergeni, fumo o inquinanti, il contesto familiare e psico-socio-economico, e le comorbidità asmatiche 1. |
Asma non controllato: asma caratterizzato da sintomi persistenti (frequenti sintomi diurni, frequente uso di farmaci reliever, limitazioni alle attività quotidiane a causa dell’asma, risvegli notturni a causa dell’asma) e/o da attacchi d’asma frequenti (≥ 2 attacchi d’asma richiedenti l’impiego di steroidi sistemici) o gravi (≥ 1 attacco d’asma l’anno con necessità di ricovero ospedaliero1). |
Le comorbidità dell’asma grave: stato dell’arte
Tra le più comuni e significative caratteristiche trattabili in grado di influenzare la gravità e il controllo dell’asma annoveriamo proprio le comorbidità, definite come “una o più patologie o disturbi concomitanti con una patologia o disturbo primario” 5.
La presenza di comorbidità è un evento particolarmente frequente nei soggetti asmatici di tutte le età e, in particolare, nei casi di asma difficile da trattare, spesso caratterizzati dalla compresenza di comorbidità multiple 6. In ambito italiano, un recente studio trasversale monocentrico ha documentato la presenza di almeno una comorbidità nell’87% dell’intero campione, costituito da 508 soggetti asmatici di età compresa tra i 5 e i 17 anni 7. Tali comorbidità, benché ancora troppo spesso sotto-diagnosticate, sono in grado di peggiorare il controllo clinico e la qualità di vita dei soggetti asmatici, predisponendo a un maggior rischio di attacchi asmatici acuti, ricoveri ospedalieri e accessi in PS 6,8-10. Inoltre, la presenza di sintomi mimanti l’asma può portare a mis-diagnosi e a un eccessivo, inadeguato utilizzo di terapie steroidee inalatorie o sistemiche, con maggior rischio di sviluppare effetti collaterali quali ritardo di crescita, soppressione dell’asse ipofisi-surrene, incremento dell’appetito e del peso corporeo, disturbi del sonno e dell’umore, osteoporosi 1.
Negli anni crescenti evidenze scientifiche hanno evidenziato l’esistenza non solo di una chiara correlazione epidemiologica tra l’asma e le sue comorbidità, ma anche di possibili meccanismi patogenetici comuni, responsabili di una mutua influenza bi-direzionale tra le patologie, talora con la possibilità di descrivere fenotipi asmatici ben distinti 5,8-10. In tale ottica l’adeguata gestione delle comorbidità asmatiche potrebbe essere cruciale per proporre terapie personalizzate o aggiuntive di chiara efficacia, specialmente nell’ambito dell’asma difficile da trattare. Pertanto, discuteremo nei successivi paragrafi le più recenti evidenze sul ruolo delle differenti comorbidità asmatiche, classicamente suddivise in forme respiratorie e forme non respiratorie (Tab. I), spesso coesistenti tra loro 7-9. Non essendo di pertinenza pediatrica, la broncopneumopatia cronica ostruttiva (BPCO) è stata deliberatamente esclusa dalla presente trattazione.
Comorbidità respiratorie
Rinite allergica
La rinite allergica è una condizione flogistica acuta della mucosa nasale dovuta a una risposta IgE-mediata a specifici pneumo-allergeni, con conseguente sviluppo di ostruzione nasale o rinorrea, prurito nasale, scolo nasale in faringe e starnuti frequenti. Ulteriori sintomi frequentemente descritti includono la congiuntivite allergica, la respirazione orale o la frequente necessità di schiarirsi la gola. La rinite allergica è tra le comorbidità asmatiche in assoluto più frequenti: in particolare, nell’ambito dello studio multicentrico italiano ControL’asma, promosso dalla Società Italiana di Allergologia e Immunologia Pediatrica (SIAIP), questa comorbidità è stata identificata nel 90% dei soggetti arruolati (465 pazienti pediatrici con un’età media di 11,2 anni) 11. Il medesimo studio ha dimostrato come spesso la rinite allergica nei soggetti asmatici sia perlopiù resistente alle terapie standard 11. La relazione tra asma e rinite è ben più che epidemiologica: infatti, le affezioni delle alte e delle basse vie aeree possono mutualmente influenzarsi non solo in virtù della loro contiguità anatomica, ma anche per processi infiammatori affini, come la disfunzione dei linfociti T regolatori (Treg) o la maggior espressione delle cellule innate linfoidi di tipo 2 (ILC2) 8,12, cruciali promotori della risposta allergica a seguito del rilascio di specifiche “allarmine” da parte di cellule epiteliali danneggiate. Tale concetto, da molti anni noto in letteratura con il termine “united airway disease” 12, include anche ulteriori meccanismi di mutua inter-relazione tra alte e basse vie aeree, come il broncospasmo da riflesso vagale naso-bronchiale o l’esposizione delle basse vie aeree ad aria più fredda e secca contenente maggiori quantità di allergeni, come conseguenza della perdita della funzione filtrante nasale 8. La rinite allergica peggiora il controllo dei sintomi d’asma, la qualità di vita dei soggetti asmatici e la loro funzionalità respiratoria; inoltre, in Pediatria è stato dimostrato come forme moderato-gravi di rinite allergica (definite tali sulla base della presenza di sintomatologia notturna o di significative limitazioni nelle attività quotidiane 13) predispongano allo sviluppo di asma grave 5. A tal fine, questionari compositi come la versione pediatrica del Control Allergic Rhinitis and Asthma Test (CARATkids) sono particolarmente utili nel valutare contemporaneamente asma, rinite allergica e la loro inter-relazione 14. La diagnosi di rinite allergica richiede la presenza di sintomi clinici suggestivi e l’esecuzione di test allergologici per identificare sensibilizzazioni verso pneumo-allergeni (prick test, dosaggio IgE specifiche e totali). La prima linea terapeutica è rappresentata dall’evitamento dei pneumo-allergeni incriminati in tutti gli ambienti di permanenza del bambino (scuola, casa, palestra…), dall’utilizzo di antistaminici anti-H1 topici o sistemici e, nelle forme persistenti o moderato-gravi, dall’uso di corticosteroidi intranasali, limitando l’uso di steroidi orali ai casi più refrattari 15. Gli anti-leucotrienici orali possono essere proposti come terapia aggiuntiva in caso di sintomi persistenti e concomitante asma 15, ma la terapia più promettente per trattare contemporaneamente entrambe le patologie è rappresentata dai farmaci biologici, in particolare gli anticorpi monoclonali anti-IgE e anti-interleuchina (IL)4 e IL13 16. Farmaci biologici contro mediatori della risposta allergica ILC2-mediata, come gli anti-linfopoietina timica stromale (TSLP), gli anti-IL25 e gli anti-IL33, sono attualmente in studio 17. Allo stato attuale, l’unica terapia eziologica per trattare contemporaneamente asma e rinite allergica è rappresentata dall’immunoterapia specifica (ITS), somministrata per via sottocutanea (SCIT) o sublinguale (SLIT). Tale approccio è in grado di garantire, attraverso l’induzione di specifici linfociti Treg, la riduzione di cellule effettrici (quali mast-cellule, eosinofili o ILC2) in organi bersaglio e la modulazione della produzione di IgE specifiche, IgA e IgG4, fornendo una duratura immunotolleranza nei confronti di determinati pneumo-allergeni 18 e potendo addirittura prevenire, secondo alcuni autori, lo sviluppo di asma in soggetti atopici affetti da rinite allergica. Tuttavia, l’ITS è ancora controindicata in caso di concomitante asma non controllato 1, un limite che potrà forse essere ovviato in futuro pre- o co-somministrando farmaci biologici 17 o ricorrendo a vie di somministrazione alternative che aumentino il profilo di sicurezza, quali l’uso di patch epidermici (immunoterapia epicutanea) o la somministrazione eco-guidata all’interno di linfonodi (immunoterapia intralinfatica) 18.
Rinosinusite cronica
La rinosinusite cronica (CRS) è una condizione infiammatoria delle mucose di naso e seni paranasali, caratterizzata dalla persistenza, per un minimo di 12 settimane, di due o più tra i seguenti sintomi, di cui almeno uno dovrebbe essere ostruzione nasale/congestione o scolo nasale (sia anteriore che posteriore): dolenzia o sensazione di pressione al volto e ipo- o anosmia 19. È possibile distinguere forme senza poliposi nasale (CRSsNP) e forme con poliposi nasale (CRSwNP), la cui patogenesi può essere in entrambi i casi allergica o non allergica 19. In particolare, mentre la CRSsNP si associa più frequentemente a una flogosi neutrofilica mediata dall’IL17, nel caso della CRSwNP la patogenesi è più spesso eosinofilica, con alti livelli sierici di IL5 e IgE specifiche anti-enterotossina di S. aureus, suggestive del ruolo del microbioma locale nell’indurre nel tempo una risposta IgE-mediata 20. Negli anni è stato suggerito anche un coinvolgimento diretto delle cellule ematopoietiche midollari CD34+, precocemente commissionate verso una risposta flogistica di tipo 2, con secondaria migrazione delle cellule pienamente differenziate a livello sia dei seni paranasali che dei bronchi 21. La rinosinusite cronica affligge fino al 20-45% dei soggetti pediatrici (specialmente adolescenti) 22, e in caso di concomitante asma ne peggiora il controllo clinico, aumentandone la gravità e peggiorando la qualità di vita dei soggetti affetti. Ciò è particolarmente vero per la CRSwNP, più frequentemente associata ad asma grave. In una mutua inter-relazione, l’asma bronchiale può a sua volta peggiorare gli outcome della CRS, come dimostrato dal riscontro di maggiori livelli di TNFalfa, epithelial growth factor (EGF), fibroblast growing factor 2 (FGF2) e platelet derived growth factor subunit A (PDGFA) a livello dei seni paranasali e del tessuto adenoideo 21. La diagnosi di CRS si basa su reperti clinici e strumentali (endoscopia nasale, TC del massiccio facciale); nel caso di concomitante asma può essere utile ricorrere a questionari di screening quali il SinoNasal Outcome Test-22 (SNOT-22) o l’European Position Paper on Rhinitis and Nasal Polyposis Questionnaire (EP30S) 5. Lavaggi nasali e spray steroidei intranasali rappresentano la prima linea terapeutica, seguita da bonifica chirurgica endoscopica dei polipi eventualmente associata a brevi cicli di terapia steroidea orale immediatamente prima o dopo la resezione 23. L’uso di antibiotici è da riservare ai soli casi con colture endoscopiche positive, mentre ancora controverso è l’utilizzo cronico di macrolidi a scopo immunomodulante 20. Poiché la chirurgia determina spesso risultati poco incoraggianti sul lungo termine, con numerose recidive e frequente necessità di revisione chirurgica, l’attenzione scientifica è attualmente focalizzata sul dirimere i differenti endotipi di CRS e soprattutto di CRS con concomitante asma, al fine di proporre terapie biologiche mirate da somministrare prima della bonifica chirurgica o a potenziamento della stessa. A tal proposito, alcuni autori hanno descritto e proposto tre fenotipi di CRSwNP con concomitante asma, la cui utilità clinica è però ancora da dimostrare: una forma di CRSwNP infantile, meno grave, caratterizzata da flogosi eosinofilica; una forma a esordio in età adulta, con minor atopia e prevalente flogosi non eosinofilica; e una forma più grave in adulti fumatori, caratterizzata da flogosi eosinofilica non allergica refrattaria alla terapia steroidea 24. Le terapie biologiche proposte includono gli anti-IL4 e IL4Ra, gli anti-IgE e, ancora oggetto di studio, gli anti-IL5 e anti-IL5Ra. I risultati sembrano promettenti soprattutto nelle forme di CRSwNP refrattarie con concomitante asma, permettendo la riduzione dimensionale dei polipi e, in ultima analisi, un minor ricorso a chirurgia e terapie steroidee orali 23.
Respiro disfunzionale e ostruzione laringea inducibile
Il termine “respiro disfunzionale” include al suo interno un gruppo di disturbi caratterizzati da alterazioni croniche o intermittenti del pattern del respiro, secondarie all’attività anomala dei muscoli respiratori. Si stima che fino a ¼ degli adolescenti possa soffrirne, nonostante la condizione sia ampiamente sottodiagnosticata 25. I sintomi più comuni includono astenia e malessere, dispnea a riposo (solitamente a esordio improvviso e sproporzionata rispetto ai reperti obiettivi), sensazione di costrizione toracica e frequenti sbadigli e sospiri, ed è frequente l’associazione con obesità, ansia, depressione e asma. Infatti, i soggetti con respiro disfunzionale hanno una maggiore sensibilità ai cambiamenti di calibro e resistenza delle vie aeree: ne deriva una risposta iperventilatoria che può indurre broncocostrizione conseguentemente all’ipocapnia e allo stress emotivo associati 25,26. Gli asmatici affetti da respiro disfunzionale presentano una peggior qualità di vita e forti limitazioni nelle loro attività quotidiane 25. Inoltre, il respiro disfunzionale può essere confuso con l’asma stesso, portando alla prescrizione di terapie non necessarie 27. Idealmente, la diagnosi di respiro disfunzionale dovrebbe fondarsi, oltre che sull’anamnesi e sulla negatività delle prove di funzionalità respiratoria, anche sull’utilizzo di questionari di percezione dei sintomi, sia soggettivi (Nijmegen Questionnaire) che oggettivi (Breathing Pattern Assessment Tool) 26. Auspicabili per il futuro l’utilizzo di strumenti non invasivi per valutare l’asincronia toraco-addominale quali la pletismografia optoelettronica 25, promettenti per dirimere più accuratamente la diagnosi differenziale tra asma e respiro disfunzionale. Il trattamento del respiro disfunzionale è sostanzialmente non farmacologico e si fonda sull’applicazione di tecniche di respiro e rilassamento (metodo Lotorp, Buteyko e Papworth 1,5) che in aggiunta alle terapie antiasmatiche convenzionali possono migliorare il controllo dei sintomi e la qualità di vita, senza tuttavia ridurre il rischio di attacchi asmatici acuti o migliorare la funzionalità respiratoria 1.
Alcuni autori includono nell’ambito del respiro disfunzionale anche le forme di ostruzione laringea inducibile, ovvero tutte quelle condizioni di anomala adduzione inspiratoria laringea (glottica o sovraglottica) secondarie all’esposizione a freddo, profumi, allergeni, virus, reflusso o, più spesso, all’esercizio fisico 28. L’ostruzione laringea inducibile è una comorbidità asmatica molto frequente ma spesso sottodiagnosticata quando non addirittura interamente scambiata per asma, cosa che può comportare l’utilizzo di terapie non necessarie 28. L’ostruzione laringea impatta fortemente sulla qualità di vita e le attività dei soggetti asmatici (specialmente per quanto riguarda l’esercizio fisico) e si associa frequentemente al reflusso gastroesofageo e a stati di ansia e depressione 28. La presenza di stridor e tosse abbaiante e dispnea (tipicamente inspiratoria) durante l’esercizio fisico sono molto suggestive di ostruzione laringea inducibile 29. Di contro, il cosiddetto “sibilo glottico”, talora trasmesso ai campi polmonari inferiori, non deve fuorviare il clinico nel formulare la diagnosi più corretta. Le prove di funzionalità respiratoria possono supportare la diagnosi differenziale rivelando, in fase acuta, un’ostruzione inspiratoria extra-toracica 5, ma il gold standard è sicuramente rappresentato dalla laringoscopia dinamica che permette di osservare direttamente lo spasmo laringeo durante l’esercizio fisico o in risposta all’esposizione controllata a stimoli mirati, siano essi fisici o chimici 29. Tuttavia, tale metodica è piuttosto invasiva e molto poco standardizzata, per cui la TC toraco-polmonare dinamica potrebbe rappresentare un’alternativa diagnostica 5, specialmente in ambito pediatrico. La terapia si fonda anche in questo caso sull’uso di tecniche di respirazione, eventualmente associate a cicli di psicoterapia quando necessario. Il ricorso a iniezioni botuliniche delle corde vocali, sovraglottoplastica, CPAP o perfino intubazione endotracheale, è da riservarsi a casi selezionati di gravità crescente 30.
Sindrome delle apnee ostruttive del sonno
La sindrome delle apnee ostruttive del sonno (OSAS) è una condizione di ostruzione ricorrente delle alte vie aeree durante il riposo notturno, con conseguente ipopnee/apnee notturne, frammentazione del sonno, sonnolenza diurna e, nel lungo termine, problematiche metaboliche, neuro-cognitive e cardiovascolari 31. È un problema che affligge poco più del 5% dei soggetti pediatrici e fino al 30% dei bambini e degli adolescenti affetti da asma, anche se la sua prevalenza nell’ambito dell’asma grave è ritenuta ancora maggiore 31. L’ipotesi patogenetica più accreditata è che la continua alternanza di iper- e ipossia tipica dell’OSAS incrementi lo stress ossidativo a carico delle vie aeree e l’iperreattività bronchiale vago-mediata 5, predisponendo così allo sviluppo di asma e peggiorando, nei soggetti asmatici, la qualità di vita e il controllo dei sintomi, specialmente notturni 31. Di contro, i sintomi notturni di asma possono aggravare significativamente l’OSAS e l’uso continuativo di steroidi inalatori può alterare la resistenza faringea alla collassabilità 31,32. L’associazione tra OSAS, rinite e malattia da reflusso gastroesofageo è frequente e deve essere sempre debitamente indagata 1.
Alla valutazione anamnestica è fondamentale valorizzare elementi clinici peculiari dell’età pediatrica, quali i deficit attentivi, le problematiche comportamentali, la respirazione orale, la diaforesi notturna, l’enuresi o la dispnea notturna, di gran lunga prevalenti nel bambino rispetto alla sonnolenza diurna o al russamento notturno 31. Alcuni questionari come il Berlin Questionnaire o il Pediatric Sleep Questionnaire possono essere estremamente utili per identificare i bambini affetti contemporaneamente da OSAS e asma bronchiale 31,33; tuttavia, la polisonnografia in ambiente clinico rappresenta ancora il gold standard per la diagnosi e dovrebbe essere proposta a tutti i soggetti asmatici con scarso controllo notturno dei sintomi. I cardini terapeutici sono rappresentati dall’adenotonsillectomia (nelle forme moderato-gravi), il calo ponderale, l’uso di espansori mandibolari e soprattutto dalla CPAP, il cui utilizzo determina anche un netto miglioramento della funzionalità respiratoria e della qualità di vita dei soggetti asmatici, riducendone ampiamente lo stress ossidativo 32. È invece ancora discusso l’uso di antileucotrienici come terapia aggiuntiva nel caso di OSAS e concomitante asma bronchiale 5.
Bronchiectasie
Le bronchiectasie sono dilatazioni anomale e permanenti della parete bronchiale, su base idiopatica o secondarie a diverse patologie tra cui anche l’asma. La prevalenza delle bronchiectasie (perlopiù distali) nei soggetti asmatici è molto variabile nei differenti studi, a seconda delle caratteristiche della popolazione studiata e forse anche di alcune differenze etnico-geografiche 34. Un recente studio retrospettivo monocentrico limitato a soggetti pediatrici con asma grave (30 bambini di 5-16 anni, mediana 12 anni) ha documentato bronchiectasie in 1/3 dei soggetti arruolati 35. A ogni modo, al di fuori di studi clinici la diagnosi di bronchiectasie nei soggetti asmatici è ancora sottostimata e spesso tardiva 34. Asma e bronchiectasie determinano entrambi un circolo vizioso di flogosi cronica, stress ossidativo e rimodellamento delle vie aeree, dove l’iperproduzione di muco e i difetti di clearance muco-ciliare agiscono sostenendo e perpetrando nel tempo la patogenesi 34. I soggetti affetti mostrano dispnea, sibili espiratori e tosse produttiva con espettorato purulento, e frequente è l’associazione con CRS, reflusso o aspergillosi broncopolmonare allergica (ABPA). La presenza di bronchiectasie peggiora la flogosi bronchiale nei soggetti asmatici e incrementa il rischio di riacutizzazioni, portando nel contempo a un più rapido declino della funzionalità respiratoria 35; non è tuttavia ancora chiaro se la loro presenza possa beneficiare di trattamenti mirati. Tentativi di endotipizzare anche tale comorbidità hanno permesso di dimostrare due tipologie di bronchiectasie: le forme caratterizzate da flogosi neutrofilica ed elevati livelli di IL8, a esordio precoce e spesso steroido-resistenti; e forme più rare eosinofiliche a esordio più tardivo, caratterizzate da elevati livelli di IL13 e di frazione dell’ossido nitrico esalato (FeNO), maggior tendenza alla broncoreversibilità e un più alto tasso di attacchi asmatici acuti, con tuttavia buona risposta alla terapia steroidea 34. Il gold standard per la diagnosi di bronchiectasie è la TC polmonare ad alta risoluzione (HRTC), che attualmente viene però riservata a casi selezionati di asma grave con presentazione atipica, come da indicazione dell’European Respiratory Society e American Thoracic Society (ERS/ATS) 36. I principali reperti radiologici diretti e indiretti suggestivi di bronchiectasia sono riportati in Tabella II. La spirometria non è dirimente, potendo, nel caso di bronchiectasie a flogosi prevalentemente eosinofilica, mostrare un deficit ventilatorio ostruttivo reversibile tanto quanto nei casi di asma. Mandatoria è l’esecuzione di esami colturali su espettorato, spesso positivi per germi quali Haemophilus influenzae e Pseudomonas aeruginosa 34. Recentemente è stato proposto l’utilizzo di score compositi quali il NOPES score (FeNO, Pneumonia, Exacerbation, Severity) 37 nel tentativo di identificare precocemente le forme di asma associate a bronchiectasie. Ridurre la flogosi bronchiale, prevenire o trattare eventuali sovra-infezioni e migliorare la clearance muco-ciliare sono gli obiettivi cardine della terapia delle bronchiectasie, per le quali non è raccomandato l’uso di corticosteroidi inalatori a meno di concomitante asma 34. Abbinare alla terapia di fondo antiasmatica cicli di fisioterapia respiratoria e l’uso di macrolidi in acuto e in cronico sembra ridurre il numero di riacutizzazioni asmatiche e rallentare il deterioramento della funzionalità polmonare nel tempo, ma le poche evidenze disponibili sono limitate agli adulti affetti da asma “T2-low”, per cui la raccomandazione GINA è di proporli solo dopo attenta valutazione del rapporto costo/beneficio 1. Promettente, in futuro, l’uso di anti-IL5 nel caso di concomitanti bronchiectasie e asma grave 34.
Manifestazioni respiratorie da funghi: asma grave con sensibilizzazione fungina e aspergillosi broncopolmonare allergica
Benché ampiamente nota e descritta, la relazione tra asma bronchiale e manifestazioni allergiche e respiratorie da funghi è un capitolo estremamente complesso nell’ambito della pneumologia pediatrica, in parte per l’errata abitudine di mutuare evidenze dall’età adulta a quella infantile ignorando le peculiarità di quest’ultima. Le manifestazioni respiratorie da funghi sono certamente rilevanti anche in età pediatrica, come provato da un recente studio trasversale che ha dimostrato un’asma grave 38. In tempi estremamente recenti, un’ottima review 39 si è prefissata l’obiettivo di uniformare nomenclatura ed evidenze pediatriche sul tema, includendo nel termine “asma fungino” tre forme principali: l’asma grave con sensibilizzazione fungina, la bronchite fungina cronica e forme miste.
La prima forma si configura come una flogosi allergica steroido-resistente, secondaria all’ipersensibilità a uno o più funghi e caratterizzata da elevati livello di IL-33; mentre la seconda dipende dalla colonizzazione fungina delle vie aeree, con rilascio nel tempo di proteasi fungine capaci di indurre danno tissutale 38. L’ABPA, non trattata in tale review in quanto considerata perlopiù appannaggio dell’adulto o di pazienti pediatrici affetti da fibrosi cistica, è descritta, in un’altra recente review sul tema, come lo step finale di una peculiare marcia atopica fungina, preceduta dalla rinosinusite allergica fungina e dall’asma grave con sensibilità fungina 40. La patogenesi dell’ABPA dipende dall’esposizione di profili molecolari associati al patogeno fungino (PAMPS) che attivando i toll-like receptor (TLR) dell’epitelio bronchiale inducono una risposta flogistica di tipo 2, promuovendo il rimodellamento e l’iperreattività bronchiali 40. I soggetti affetti da ABPA presentano tosse produttiva e sibili espiratori ricorrenti, unitamente a febbricola, calo ponderale ed emottisi. L’espettorazione di tappi di muco nerastri è patognomonica 40. L’associazione con bronchiectasie (tipicamente centrali) e con asma non controllato è frequente, spesso con accelerato deterioramento della funzionalità respiratoria, più frequenti riacutizzazioni e ridotta qualità di vita 5. Nel sospetto di “asma fungino” è indicata l’esecuzione di prick test e il dosaggio di IgE totali e specifiche per identificare la sensibilizzazione a funghi. Per la diagnosi di ABPA sussistono specifici criteri diagnostici clinico-radiologici: in Tabella III riportiamo i più recenti, i criteri modificati dell’International Society for Human and Animal Mycology (ISHAM) 41. Nelle forme di “asma fungino” l’evitamento dell’allergene è quantomai difficoltoso, essendo i funghi estremamente ubiquitari e persistenti nell’ambiente. L’uso di deumifidicatori può essere utile per ridurre la concentrazione di spore fungine 1. La steroidoterapia orale con graduale decalage per almeno 4 mesi è il cardine della terapia delle forme di ABPA; l’itraconazolo può essere co-somministrato come agente “steroid sparing”, ricordando però che l’uso degli azoli fungini in età pediatrica è piuttosto controverso 5. In caso di flogosi neutrofilica può essere proposto l’uso di macrolidi in cronico 39, mentre in presenza di aspergillomi dev’essere considerata la terapia chirurgica. L’uso di farmaci biologici anti-IgE si sta rivelando molto promettente sia nei casi di asma grave con sensibilizzazione fungina che nelle forme di ABPA franca 1, mentre ancora oggetto di studio è l’uso di anti-IL33, anti-endotelina 1 o anti-recettore alfa dell’IL17 (IL17Ra) 40. Infine, non va dimenticato il ruolo della fisioterapia respiratoria come terapia aggiuntiva, particolarmente utile nei pazienti con manifestazioni respiratorie da funghi 1.
Comorbidità non respiratorie
Malattia da reflusso gastroesofageo
La malattia da reflusso gastroesofageo (MRGE) definisce l’insieme dei sintomi (quali pirosi, dispepsia, dolore toracico retrosternale, epigastralgia e tosse secca) dovuti al patologico transito di materiale gastrico dallo stomaco lungo l’esofago fino alla laringe. La prevalenza del reflusso sintomatico nella popolazione asmatica è pari a circa il 5% nella popolazione infantile e fino al 15% tra gli adolescenti 42, anche se alterazioni subcliniche alla pHmetria esofagea possono interessare più della metà dei soggetti asmatici di tutte le età 5. Tale frequenza può essere giustificata dall’utilizzo di reliever inalatori o di steroidi orali, entrambi in grado di indurre un rilassamento dello sfintere esofageo inferiore, o dall’aumentata bronco-reattività a causa di micro-aspirazioni di materiale gastrico 8.
Nonostante la sua pervasività, il ruolo della MRGE nei soggetti con asma è stato parzialmente ridimensionato negli anni: infatti, se è pur vero che la presenza di reflusso sintomatico si associa talora a forme di asma scarsamente controllate con più frequenti riacutizzazioni, esso non sembra correlare con la gravità dell’asma e l’uso di farmaci anti-reflusso, quali gli inibitori di pompa protonica (PPI), non sembra migliorare gli outcome dell’asma, eccezion fatta per la sintomatologia asmatica notturna 8,9,43 e, in minimo grado, per la funzionalità respiratoria 44. Inoltre, le evidenze pediatriche sono estremamente esigue a causa di un meno frequente ricorso alla pHmetria e della ridotta sensibilità della stessa nell’identificare i reflussi non acidi 9,44. Pertanto, attualmente nei documenti GINA la MRGE viene più considerata una condizione mimante l’asma che non un’effettiva comorbidità, e non ne è indicato lo screening routinario 1 da riservarsi principalmente ai soggetti con asma non controllato con prevalenza di sintomatologia notturna 8. In presenza di sintomatologia suggestiva per MRGE è indicata l’effettuazione di un trial empirico con PPI per 3 mesi, unitamente alle debite correzioni posturali e dietetiche, indirizzando il paziente all’attenzione di specialisti gastroenterologi in caso di persistenza dei sintomi 1.
Allergia alimentare IgE-mediata
L’allergia alimentare è una reazione avversa immuno-mediata, specifica e riproducibile, secondaria all’ingestione di un determinato alimento, la cui prevalenza nei bambini con asma (e specialmente asma grave) è stimata attorno al 10% 45. Sulla base del meccanismo immunologico sotteso, le allergie alimentari vengono storicamente divise in forme IgE-mediate e forme non IgE-mediate. Per quanto riguarda le forme IgE-mediate, soprattutto in caso di poli-sensibilizzazione, la presenza di allergia alimentare può comportare nei soggetti asmatici un incremento della sintomatologia notturna, delle riacutizzazioni asmatiche e un concomitante maggior consumo di steroidi orali e di risorse sanitarie in termini di gestione in Pronto Soccorso o in regime di ricovero 45, come dimostrato nell’ambito del National Cooperative Inner City Asthma Study 46.
Benché non sia ancora stata dimostrata una specifica relazione causale tra le due patologie, il primum movens per entrambe le condizioni sembra risiedere in mutazioni patologiche della filaggrina, una proteina strutturale chiave dello strato corneo cutaneo, con conseguente maggior esposizione e facilitata sensibilizzazione a trofo e pneumo-allergeni 45. Significativamente, anche l’esposizione inalatoria ad allergeni alimentari aerosolizzati può indurre sintomi asmatici: anzi, l’esposizione cronica agli stessi sembra peggiorare nel tempo la gravità dell’asma 45. La contemporanea presenza di allergie alimentari e asma è un importante fattore di rischio per reazioni allergiche gravi quando non fatali 1, senza dimenticare che l’anafilassi indotta da trofo-allergeni può manifestarsi come attacco asmatico grave potenzialmente letale. Per tali ragioni è mandatorio escludere la presenza di asma sottostante in tutti i soggetti con allergia alimentare 1 confermata tramite prick test, dosaggio IgE specifiche o test di provocazione orale, e viceversa indagare la presenza di allergia alimentare in tutti i soggetti con asma. In caso di allergia alimentare confermata, il paziente (e i genitori in caso di pazienti pediatrici) devono essere istruiti a evitare attentamente l’allergene incriminato anche in tracce, leggendo con attenzione le etichette riportanti la composizione degli alimenti. In presenza di episodi di reazioni anafilattiche il paziente deve disporre di autoiniettore di adrenalina e deve essere debitamente formato all’utilizzo dello stesso. L’immunoterapia orale, vale a dirsi l’induzione di tolleranza immunologica verso un determinato alimento attraverso la somministrazione dello stesso a dosi crescenti, è da effettuarsi in ambiente protetto dietro indicazione specialistica. Infine, anche nel campo dell’allergia alimentare è promettente l’uso di farmaci biologici anti-IgE, capaci di ridurre il rischio di reazioni anafilattiche incrementando le dosi-soglia di allergene alimentare necessarie per indurre reazioni allergiche 47, senza dimenticare i noti benefici di tali terapie in caso di concomitante asma.
Dermatite atopica
La dermatite atopica (DA) è una patologia infiammatoria cronica della cute ad andamento remittente-recidivante, la cui prevalenza media, in costante aumento, è attualmente stimata attorno al 10-20%. Considerata una patologia tipicamente a esordio infantile (nella stragrande maggioranza dei casi entro i primi 5 anni di vita 48), è stata in realtà recentemente documentata una prevalenza costante nelle diverse età pediatriche, come provato dallo studio trasversale multi-centrico EPI-CARE condotto in soggetti di età compresa tra i 6 mesi e i 18 anni 49. In circa il 10-15% dei casi, la DA è di entità grave 48, con un profondo impatto sul tono dell’umore, le performance scolastiche, il riposo notturno e la qualità di vita personale e dei propri familiari 1. L’asma è presente in circa il 15-50% dei soggetti pediatrici affetti da DA 50 e la gravità della dermatite stessa comporta un maggior rischio di sviluppare o presentare concomitante asma 48. Da molti anni, la perdita di integrità cutanea tipica della DA (e, in particolare, la perdita di funzione e di struttura della filaggrina, una proteina integrale della barriera epidermica) è considerata il primum movens per lo sviluppo longitudinale di altre patologie allergologiche (la cosiddetta “marcia atopica”, ovvero il susseguirsi nel medesimo individuo, di più patologie allergiche esordienti in una sequenza predeterminata), verosimilmente per una maggiore esposizione epicutanea a trofo e pneumo-allergeni 51. Tuttavia, è oggi noto come l’evoluzione classica della marcia atopica – dalla DA, alla rinite allergica, all’asma bronchiale – venga spesso disattesa. Infatti, recenti studi, come l’Avon Longitudinal Study of Parents and Children, hanno dimostrato come tale sequenza venga integralmente rispettata in una percentuale di bambini inferiore al 4% 52, per cui è auspicabile lo sviluppo di nuovi paradigmi che tengano in conto il ruolo dei fattori ambientali, genetici, disbiotici e immunologici coinvolti. La diagnosi di DA è clinica e basata sui cosiddetti criteri di Hanifin-Rajka, pur essendo mandatoria la valutazione di esperti per la conferma diagnostica, anche tenendo conto delle peculiari caratteristiche e sedi del rash nelle diverse età pediatriche 53. L’utilizzo di score di gravità (quali lo SCORing Atopic Dermatitis, SCORAD, l’Eczema Area Severity Index, EASI, o il Patient-Oriented Eczema Measure, POEM) è necessario per quantificare adeguatamente l’entità del quadro clinico e modulare di conseguenza le terapie 54. È bene ricordare che non sempre i test allergologici cutanei o sierici consentono di identificare sensibilizzazioni allergiche (“dermatite atopica intrinseca”). Le terapie, farmacologiche e non, sono spesso impegnative in termini di costi e di aderenza quotidiana alle stesse 55. Le cure della pelle devono essere eseguite su base giornaliera anche in fasi di remissione, attraverso l’uso di detergenti non schiumosi e di prodotti topici emollienti, umettanti o occludenti, che hanno lo scopo di prevenire la perdita d’acqua transcutanea e di ridurre il ricorso a steroidi topici di potenza variabile, da riservare alle fasi attive di malattia. L’uso di antifungini topici può rendersi necessario nelle forme localizzate a carico di testa e collo e associate alla presenza di Malassezia spp. L’uso di inibitori topici della calcineurina e di brevi cicli di fototerapia UVB è da riservarsi ai casi in cui gli steroidi topici siano controindicati o inefficaci, mentre gli steroidi orali dovranno essere utilizzati solo per brevi cicli in caso di riacutizzazioni gravi 55. Negli adolescenti con DA moderata/ grave e nei bambini dai 6 agli 11 anni affetti da DA grave possono essere infine proposti gli anti-IL4 e IL4a, capaci non solo di migliorare i sintomi cutanei e la qualità di vita dei soggetti affetti, ma anche di trattare contemporaneamente altre comorbidità allergiche frequentemente presenti in questi soggetti, quali l’asma, la rinite allergica e la rinosinusite cronica 55.
Esofagite eosinofila
L’esofagite eosinofila (EoE) è una patologia infiammatoria cronica antigene-mediata a carico dell’esofago, caratterizzata da una tipica flogosi di tipo 2 non IgE-mediata 56. La patogenesi, multifattoriale e ancora non ben acclarata, dipende da una compartecipazione di predisposizione genetica, disbiosi, disregolazione immunologica e sensibilizzazione allergica 56. Quando non debitamente trattata, il cronico protrarsi dell’infiammazione esita in quadri di rimodellamento tissutale e fibrosi, fino al temibile sviluppo di stenosi esofagea. L’EoE è attualmente la forma più frequente e nota tra le diverse patologie eosinofile gastrointestinali, con tassi di prevalenza in recente aumento: sono infatti stimati, nella casistica statunitense, poco meno di 30 casi su 100.000 soggetti pediatrici 57. La crescente attenzione scientifica verso tali patologie ha portato a un incremento delle diagnosi e alla nuova definizione del ruolo dell’EoE nell’ambito delle patologie allergiche, tanto da essere considerata oggi dalla maggior parte degli autori una manifestazione tardiva della cosiddetta marcia atopica 58. Circa il 30-50% dei soggetti con EoE soffre contemporaneamente di asma e, in particolare, di asma grave 59. Benché la relazione patogenetica tra asma e EoE non sia ancora stata ben definita, un recente studio retrospettivo monocentrico pediatrico condotto su 24 pazienti di età compresa tra i 2 e i 16 anni sottoposti congiuntamente a esofagogastroduodenoscopia, broncoscopia e laringoscopia ha dimostrato la presenza di elevati livelli di eosinofili sia a livello esofageo che bronchiale, suggerendo l’instaurazione di un trafficking eosinofilico comune ai sistemi aereo e gastrointestinale 60. Inoltre, nei soggetti affetti da entrambe le patologie l’entità dell’infiltrato eosinofilico esofageo e delle sensibilizzazioni allergiche, e i valori di fibroblast growing factor 2 (FGF2) e di IgE sieriche totali sono superiori rispetto a quanto riscontrabile negli individui affetti da sola EoE 59.
La diagnosi di EoE è ancora spesso intempestiva soprattutto per l’attuale mancata disponibilità di biomarcatori non invasivi e per l’assenza, nell’età infantile e pre-pubere, di sintomi maggiormente specifici, quali la disfagia, l’odinofagia e l’impatto di bolo carneo, manifesti a partire dall’età adolescenziale 56. Tali sintomi sono preceduti, nell’infanzia, da manifestazioni aspecifiche quali nausea, vomito, addominalgia, scarso accrescimento e una certa tendenza ad attuare a tavola comportamenti compensatori, quali la masticazione molto lenta, la frammentazione cospicua del cibo, l’evitamento di alimenti dalla consistenza più dura e l’assunzione di molta acqua ai pasti per favorire la deglutizione 56. L’endoscopia con acquisizione di campioni bioptici è attualmente il gold standard per la diagnosi e per la rivalutazione delle remissioni istologiche in corso di terapia 56. Cardini della terapia sono l’utilizzo degli inibitori di pompa protonica, l’uso di steroidi topici, off-label in Pediatria e il ricorso a diete empiriche di eliminazione, da attuarsi in Pediatria con un approccio preferenzialmente step-up (ovvero, incrementando gradualmente le tipologie di alimenti da escludere dalla dieta sulla base della risposta clinica e istologica). A eccezione di qualche studio promettente sull’uso dei farmaci anti-IL13 negli adulti con EoE, le evidenze sull’uso dei farmaci biologici nei soggetti pediatrici con EoE sono ridotte e poco consistenti, mentre promettente potrebbe essere l’impiego dell’immunoterapia epicutanea 61.
Obesità
L’associazione tra asma e obesità è tra le più note e studiate in letteratura. Considerato da alcuni autori un fenotipo a sé stante di asma scarsamente controllato, l’asma nei soggetti obesi è, in età pre-puberale, più frequente negli individui di sesso femminile, prevalendo in seguito nel sesso maschile dopo la pubertà 62. La complessa relazione tra asma e obesità dipende da influenze genetiche, ormonali, infiammatorie, metaboliche e meccaniche. La flogosi bronchiale nei soggetti asmatici obesi è per lo più neutrofilica e spesso steroido-resistente 63: ciò dipende in larga parte dalla flogosi sistemica cronica di basso grado sostenuta dalle adipochine (mediatori prodotti dal tessuto adiposo stesso) e dall’IL6, una citochina sistemica che determinando una disfunzione dei linfociti NK e T citotossici incrementa il rischio di riacutizzazioni asmatiche secondarie a infezioni virali 62. Di recente è stato approfondito anche il ruolo dell’immunità innata nel fenotipo asma-obesità, in particolare per quanto riguarda il ruolo pro-infiammatorio dei macrofagi M1 62 e delle cellule innate linfoidi di tipo 3 (ILC3) 64: queste cellule compartecipano alla produzione di interferon-gamma (IFN-gamma), IL17, IL21 e IL22, citochine che potrebbero costituire in futuro potenziali target terapeutici nei soggetti asmatici obesi.
Oltre agli aspetti infiammatori, l’adipe addominale può interferire con l’attività respiratoria anche dal punto di vista meccanico, limitando in maniera significativa l’espansione polmonare. Infine, quando l’obesità è molto precoce, può perturbare lo sviluppo stesso dell’apparato respiratorio, portando alla cosiddetta “crescita disanaptica” dell’apparato respiratorio: una condizione per cui il parenchima polmonare si sviluppa maggiormente rispetto alle vie aeree, più lunghe e più strette rispetto all’abituale, con conseguente predisposizione anatomica allo sviluppo di deficit ventilatori ostruttivi 65. La frequente associazione tra l’obesità e altre comorbidità asmatiche, quali l’OSAS o la MRGE, può ulteriormente peggiorare il controllo dell’asma 1.
Di contro, l’asma può di per sé predisporre allo sviluppo di obesità, qualora il timore personale o genitoriale dell’attività fisica, vista come potenziale trigger asmatico, promuova comportamenti sedentari. Non va però dimenticato che a sua volta, il decondizionamento fisico può facilmente mimare la sintomatologia asmatica, talora fuorviando il clinico nelle sue valutazioni 63.
Poiché sia l’asma che l’obesità si associano a livelli deficitari di vitamina D, l’integrazione orale di tale micronutriente è stata suggerita come terapia in virtù della sua attività immunomodulante, anche se le evidenze non sono ancora tali da costituire un’effettiva raccomandazione e non vi è netto consenso su quale sia, a tal fine, il dosaggio più appropriato 62. In assenza di terapie farmacologiche per l’eccesso ponderale pediatrico (a eccezione di orlistat, da riservare a soli casi selezionati di obesità grave) 62 il cardine terapeutico resta la ferrea correzione degli stili di vita, attraverso la promozione di una regolare attività fisica e l’aderenza a una dieta che sia, in età pediatrica, quantomeno isocalorica. Tali buone pratiche di salute sono fondamentali per contrastare la dilagante “epidemia” di sovrappeso e obesità nella popolazione pediatrica che potrebbe determinare un proporzionalmente netto incremento dei casi di asma.
Ansia e depressione
Similmente alle condizioni organiche finora descritte, anche le comorbidità psicologiche ed emotive possono impattare fortemente sulla qualità di vita e il controllo dei sintomi dei soggetti con asma, nonostante non sembrino influenzare la gravità dell’asma stesso 42. In particolare, ansia e depressione sono condizioni di comune riscontro sia nei soggetti asmatici che nei loro caregiver, arrivando a interessare fino a ¼ dei pazienti in età pediatrica, soprattutto se adolescenti 66. La relazione tra asma e distress emotivo e psicologico sembra essere bidirezionale e multifattoriale: i soggetti affetti da comorbidità psicologiche, infatti, presentano una percezione aumentata dei propri sintomi 67, con conseguenti frequenti accessi in Pronto Soccorso, ma è altrettanto vero che spesso mostrano tassi di aderenza alla terapia di fondo nettamente ridotti, il che comporta un aumentato rischio di mortalità per asma 68. Inoltre, è conoscenza acquisita il fatto che condizioni di stress sia acute che croniche possano peggiorare la flogosi eosinofilica 69, senza contare che l’iperventilazione associata all’ansia può indurre di per sé broncospasmo 67. Infine, negli ultimi anni è divenuto sempre più evidente come anche l’ansia e la depressione genitoriali (e in particolar modo l’ansia materna, spesso secondaria alla consapevolezza dello stato di malattia dei propri figli) possano influenzare negativamente il controllo dell’asma pediatrico 66.
In presenza di comorbidità emotivo-psicologiche la gestione del paziente dev’essere multidisciplinare e finalizzata a potenziare la consapevolezza del paziente e le sue capacità di coping nei confronti dello stress, se necessario anche con tecniche di rilassamento 1. Compito del pediatra è distinguere debitamente in setting emergenziale gli attacchi acuti d’asma dagli attacchi di panico, che possono facilmente mimare riacutizzazioni asmatiche 1 e identificare, in contesto ambulatoriale, i pazienti necessitanti di supporto psicologico. La presa in carico psicologica deve prevedere l’utilizzo di questionari specifici di screening e diagnosi e assicurare il concomitante coinvolgimento dell’intero nucleo familiare e possibilmente anche di parte del personale scolastico. Nonostante ciò, è bene tener presente che le evidenze dell’impatto delle terapie sia cognitivo-comportamentali che psico-farmacologiche sugli outcome dell’asma sono piuttosto esigue e talora contraddittorie, come provato da una review sistematica Cochrane sull’impatto delle terapie comportamentali e psico-educazionali e delle tecniche di biofeedback su adulti affetti da asma 70.
Conclusioni verso una classificazione integrata delle comorbidità asmatiche
Come discusso, le comorbidità dell’asma e in particolare dell’asma grave sono molteplici, frequenti e legate tra di loro da una complessa inter-relazione reciproca. Tale complessità è ancora più articolata nell’età pediatrica, a causa di peculiari caratteristiche in termini di patogenesi, presentazione clinica e gestione terapeutica, che impongono spesso una netta distinzione dalle evidenze acquisite nell’adulto. Poiché le singole comorbidità possono susseguirsi nel tempo in maniera evolutiva, è fondamentale effettuare una ri-valutazione periodica delle stesse in tutti i soggetti con asma non controllato, anche qualora determinate comorbidità siano state escluse alle precedenti valutazioni cliniche. A tal fine, è auspicabile nel breve termine lo sviluppo di questionari di screening mirati per l’età pediatrica, finalizzati a identificare precocemente le differenti comorbidità nel contesto dell’asma e l’elaborazione, nell’ambito delle singole comorbidità, di linee guida specifiche per l’età infantile e adolescenziale, spesso mancanti. Più a lungo termine, una comprensione più profonda dei meccanismi patogenetici sottesi, l’identificazione di specifici biomarker non invasivi e la definizione di nuovi paradigmi che implementino il classico modello della “marcia atopica” allo scopo di predire, a livello individuale, la probabilità di sviluppare nel tempo altre comorbidità allergiche (definendo quali, quante e quando), potrebbe aiutare a elaborare strategie preventive efficaci, riducendo il grado di morbilità e migliorando la qualità di vita dei soggetti affetti. La combinazione di tali strategie potrebbe portare, inoltre, nel tempo a una nuova classificazione integrata delle comorbidità asmatiche, finalizzata alla creazione di terapie mirate. A tal proposito, la più preziosa risorsa terapeutica disponibile a oggi per trattare contemporaneamente l’asma e le sue comorbidità sono i farmaci biologici, attualmente proposti come terapia “add-on” in un’esigua quota di soggetti asmatici affetti dalle forme cliniche più gravi. È nostra speranza che il susseguirsi degli studi di efficacia e sicurezza renda in futuro le terapie biologiche maggiormente accessibili a una quota sempre maggiore di pazienti, al fine di proporre terapie sempre più personalizzate.
Figure and Tabella
Respiratorie | Non respiratorie |
---|---|
Rinite allergica | Dermatite atopica |
CRSsNP, CRSwNP | Allergie alimentari |
Respiro disfunzionale | MRGE |
Ostruzione laringea inducibile | Esofagite eosinofila |
OSAS | Obesità |
Bronchiectasie | Ansia e depressione |
SAFS | |
ABPA |
Segni radiologici diretti | Segni radiologici indiretti |
---|---|
Aumento del diametro bronchiale maggiore | Ispessimento della parete peribronchiale |
Bronchi periferici visibili fino a 1 cm dalla pleura parietale | Tappi di muco |
Mancata riduzione del lume bronchiale | Segno dell’albero in fiore |
Pattern a mosaico | |
Noduli centrolobulari | |
Atelettasie |
Condizioni predisponenti | Criteri obbligatori | Criteri aggiuntivi |
---|---|---|
Asma, fibrosi cistica | Reazioni di ipersensibilità immediata cutanea | Precipitine o IgG anti-funghi filamentosi |
oppure | ||
Elevate IgE specifiche anti-funghi filamentosi | ||
IgE totali ≥1000 IU/mL‡ | Opacità polmonari o altri reperti radiologici compatibili con ABPA¶ | |
Eosinofili sierici ≥ 500/mm3 |
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