Abstract

La proctocolite allergica (PA) . un’allergia alimentare non-IgE mediata caratterizzata dalla comparsa di ematochezia in neonati apparentemente sani e prosperi nei primi mesi di vita. La sua frequenza sembra essere in aumento soprattutto nei neonati allattati esclusivamente al seno. La maggior parte dei casi di PA sono causati dalle proteine del latte vaccino.

La diagnosi si basa sulla storia clinica e sulla risoluzione delle manifestazioni cliniche con l’eliminazione dalla dieta degli alimenti trigger e la loro ricomparsa alla reintroduzione dell’alimento. Il trattamento consiste nella dieta di eliminazione dell’alimento scatenante.

La prognosi della PA . buona ed . una condizione autolimitante con un’eccellente prognosi a lungo termine. Lo scopo di questa review . quello di fornire un aggiornamento delle attuali conoscenze e raccomandazioni in termini epidemiologici, diagnostici e terapeutici a pediatri, allergologi e gastroenterologi che gestiscono il paziente con PA.

DEFINIZIONE

La proctocolite allergica (PA), precedentemente nota con il termine di colite allergica o proctite/proctocolite allergica eosinofilica o proctite/proctocolite indotta da proteine alimentari 1,2, è stata descritta per la prima volta da Rubin 3 nel 1940 e successivamente da Gryboski nel 1966 e nel 1967 4,5.

EPIDEMIOLOGIA

La reale prevalenza e incidenza della PA non è conosciuta 2, sebbene sia tra le cause più frequenti di sanguinamento rettale in età pediatrica e la più frequente tra le allergie non-IgE-mediate 6.

L’epidemiologia della PA nei diversi studi presenti in letteratura varia ampiamente probabilmente a causa delle differenze nella metodologia di identificazione dei casi (ad es. se viene presa in considerazione solo la PA causata dal latte vaccino o da diversi allergeni alimentari) e sulla diagnosi di PA (se basata solo sulla dieta di eliminazione, oppure su un criterio istologico o su dieta di eliminazione e successiva reintroduzione nella dieta).

La prevalenza di PA dovuta alle proteine del latte vaccino è risultata essere dell’1,6 per 1000 bambini in uno studio prospettico di popolazione dove sono stati arruolati 13019 nuovi nati in un arco di tempo di 2 anni 7.

Uno studio prospettico di coorte condotto negli Stati Uniti, ha dimostrato che il 64% dei bambini con sanguinamento rettale presentava PA, diagnosi basata sul referto istologico della biopsia ottenuta tramite sigmoidoscopia flessibile 8, mentre lo studio di Arvola et al. 9 ha mostrato che solo il 18% dei bambini con ematochezia presentava PA, diagnosi basata sulla dieta di eliminazione e successiva reintroduzione nella dieta.

Uno studio retrospettivo turco ha trovato una frequenza di PA dello 0,18% in un arco di tempo di 10 anni 10, diagnosi basata sulla risoluzione della sintomatologia con l’eliminazione dell’alimento trigger dalla dieta del bambino e la successiva ricomparsa al momento della sua reintroduzione.

Uno studio di coorte prospettico osservazionale di bambini sani riporta una incidenza cumulativa del 17% in un arco di tempo di 3 anni. La diagnosi di PA veniva posta dal pediatra di famiglia per il riscontro di sangue occulto nelle feci senza altra causa spiegabile che si risolveva con la dieta di eliminazione con latte vaccino. Tale incidenza cumulativa scendeva al 7% se veniva utilizzato come criterio diagnostico la sola presenza di sangue macroscopicamente visibile nelle feci 11. Gli autori hanno giustificato l’alta percentuale di incidenza nel non aver effettuato il test di provocazione orale (TPO) diagnostico con conseguente rischio di sovrastima della PA.

PATOGENESI

La PA è solitamente classificata tra le allergie alimentari non-IgE-mediate 12,13 anche se l’esatto meccanismo immunologico non è stato ancora chiarito. È ritenuto che tra i principali fattori di rischio per lo sviluppo della PA siano coinvolti: una immaturità del sistema immunitario innato e adattativo, un’alterazione della permeabilità intestinale e una predisposizione genetica in combinazione con una sensibilizzazione ad antigeni alimentari 14.

Una mancata tolleranza immunologica ad antigeni alimentari sembra giocare un ruolo fondamentale nello sviluppo della PA 15. L’induzione della tolleranza orale ad alimenti dipende da diverse cellule del sistema immunitario 15. Uno studio su pazienti pediatrici affetti da allergie alimentari multiple, ha dimostrato come la mancata produzione di normali livelli di transforming growth factor-beta (TGF-β) da parte delle cellule regolatorie sia la principale anomalia immunologica nell’intestino tenue 16. È stato quindi ipotizzato che bassi livelli di TGF-β in relazione a una insufficiente risposta immunitaria innata nei confronti della flora microbica commensale intestinale, possa contribuire a un alterato sviluppo della tolleranza orale ad alimenti 17.

Uno studio su pazienti pediatrici affetti da molteplici allergie alimentari ha mostrato attraverso citofluorimetria, immunoistochimica e ibridazione in situ che l’espressione del TGF-β è significativamente ridotta nella mucosa duodenale, sia in reazioni avverse ad alimenti immediate che tardive 18. Il lavoro di Ozen et al. 19 conferma che la sensibilizzazione a proteine alimentari possa essere dovuta alla ridotta espressione del TGF-β.

Il tumor necrosis factor-alfa (TNF-α), citochina fondamentale nella patogenesi delle malattie infiammatorie croniche intestinali, è stato dimostrato alterare le tight junctions tra le cellule epiteliali 20. Per questa sua capacità di alterare la barriera epiteliale intestinale, il TNF-α sembra essere coinvolto nella patogenesi della PA. Uno studio 21 ha esaminato la concentrazione di TNF-α in 3 gruppi di pazienti: un gruppo di controllo, un gruppo con allergia al latte vaccino IgE mediata e un gruppo con allergia alimentare gastrointestinale (includendo la PA). Lo studio ha misurato la concentrazione di TNF-α nelle cellule mononucleate del sangue periferico e ha trovato che i pazienti con allergia alimentare gastrointestinale hanno una concentrazione significativamente più elevata di TNF-α rispetto ad altri gruppi di pazienti, mentre la concentrazione di citochine quali interferon gamma (IFN-γ) e interleuchina 17 (IL-17) non è stata trovata in concentrazione statisticamente differente nei diversi gruppi di pazienti. Anche l’interleuchina 3 (IL-3), interleuchina 5 (IL-5) e interleuchina 13 (IL-13) sono risultate essere citochine prodotte in maniera statisticamente significativa dalle cellule mononucleate del sangue periferico stimolate in vitro con latte vaccino di pazienti con allergia alimentare gastrointestinale.

Anche il microbiota intestinale è stato studiato come fattore di rischio coinvolto nella patogenesi dello sviluppo della PA. Uno studio 22 ha confrontato il microbiota intestinale e le IgA secretorie presenti nelle feci di 15 lattanti esclusivamente allattati al seno con ematochezia vs le feci di 15 lattanti esclusivamente allattati al seno senza ematochezia (pazienti sani). Tutti i pazienti erano nati da parto vaginale. È stato osservato come il Bacterioides fragilis era maggiormente rappresentato nelle feci dei pazienti sani rispetto a quelli con ematochezia (p < 0,05). Nei pazienti sani l’Escherichia coli è la specie predominante, mentre nei pazienti con ematochezia è la Klebsiella (p < 0,05). La concentrazione di IgA secretorie era alta in un terzo dei pazienti sani. In conclusione, il meccanismo patogenetico dell’ematochezia in lattanti esclusivamente allattati al seno può essere dovuto alla differente composizione della flora microbica intestinale.

Recentemente è stato studiato il ruolo delle formule ipoallergeniche addizionate con ceppi di probiotici; in particolare, Baldassarre et al. 23 hanno studiato Lactobacillus rhamnosus GG (LGG) addizionato a una formula di caseina estensivamente idrolizzata (EHCF) in pazienti con ematochezia in confronto a una formula di caseina idrolizzata non addizionata a LGG. L’utilizzo di EHCF + LGG risulta in un significativo miglioramento della ematochezia rispetto al solo utilizzo di EHCF.

Inoltre, uno studio 24 ha preso in esame l’effetto del trapianto del microbiota intestinale (FMT) di pazienti sani in pazienti affetti da PA. Dopo il trattamento con FMT, le manifestazioni cliniche in 17 pazienti con PA sono migliorate entro 2 giorni e non si è presentata alcuna recidiva nei successivi 15 mesi. Nelle feci dei pazienti con PA, dopo il FMT, i Proteobacteria si sono ridotti mentre i Firmicutes sono aumentati (rappresentando la percentuale maggiore del microbiota intestinale). A livello di genere, Bacterioides, Escherichia e Lactobacillus sono aumentati nelle feci di pazienti con PA dopo FMT mentre Clostridium, Veillonella, Streptococcus e Klebsiella si sono ridotti drasticamente.

MANIFESTAZIONI CLINICHE

La manifestazione clinica principale della PA è rappresentata dalla presenza di sangue rosso vivo (ematochezia) con o senza muco misto a feci, con o senza diarrea in lattanti apparentemente sani, che crescono regolarmente 12,13,25,26. Una minoranza di pazienti può inoltre presentare conati di vomito, rifiuto del cibo e irritabilità, dolore addominale, dolore alla defecazione e flatulenza 2,27. Segni e sintomi di allarme che suggeriscono una diagnosi diversa dalla PA sono: condizioni cliniche generali mediocri, diarrea severa, anemia, vomito ripetuto, distensione addominale, malattia perianale, perdita di peso o scarso accrescimento 2,28.

Le manifestazioni cliniche solitamente insorgono nei prima 6 mesi di vita (la maggior parte dei pazienti presenta sintomi tra la 1a e la 4a settimana di vita) 27, sia in bambini esclusivamente allattati al seno sia in bambini allattati con latte artificiale, sebbene sembri colpire leggermente di più i bambini allattati esclusivamente al seno (56,8-60%) 10,27.

Sebbene la PA si manifesti nella maggior parte dei casi in lattanti nei primi mesi di vita, essa può manifestarsi in bambini più grandi come dimostra lo studio di Ravelli et al. 29 in cui la PA è stata diagnosticata nel 18% dei pazienti tra 2 e 14 anni con sanguinamento rettale.

Tra le comorbidità atopiche, l’eczema è presente dal 22 al 52% dei pazienti affetti da PA 10,11,27. Una familiarità atopica è presente dal 25 al 50% 10,11,27 dei pazienti.

Nei bambini allattati al seno, il latte vaccino è l’antigene alimentare che più comunemente è associato a PA, ma anche altri alimenti come soia, uovo, mais, grano possono essere implicati nello sviluppo delle manifestazioni cliniche 7,30-33. Inoltre, dal 5 al 42% dei pazienti presenta più di un antigene alimentare scatenante 30-36. Tra i fattori di rischio per lo sviluppo di PA a più allergeni alimentari sono stati trovati una concomitante presenza di dermatite atopica, alti livelli di eosinofili alla diagnosi e la sensibilizzazione allergica (prick test o IgE specifiche) per l’alimento stesso 30,34.

Nei bambini allattati artificialmente, la PA è causata dalle proteine del latte vaccino e dalla soia; le formule estensivamente idrolizzate causano PA nel 5-10% dei casi 27,37.

Il riassunto delle principali caratteristiche cliniche è riportato in Tabella I (modificata da 38,39).

DIAGNOSI

La diagnosi di PA è quasi sempre clinica, basata sulla presenza di sintomi tipici che si risolvono con l’eliminazione dalla dieta dell’antigene trigger. Sebbene il TPO in ambiente protetto non sia generalmente effettuato per la diagnosi di PA, una reintroduzione precoce dell’alimento a domicilio, dopo un periodo di 2-4 settimane di dieta di eliminazione, è stata proposta per minimizzare il rischio di sovra diagnosi 9,40,41.

Sebbene in letteratura non esistano dei criteri diagnostici validati, alcuni criteri vengono comunemente utilizzati nella pratica clinica per supportare la diagnosi di PA, in particolare quelli proposti dal position paper dell’European Academy of Allergy and Clinical Immunology (EAACI) 13 che sono:

  1. sanguinamento rettale lieve in paziente altrimenti sano;
  2. risoluzione delle manifestazioni cliniche dopo l’eliminazione dell’alimento/i trigger/s (se allattato al seno, risoluzione dopo dieta di eliminazione materna);
  3. ricomparsa della sintomatologia alla reintroduzione dell’alimento/i offerto/i (preferibile);
  4. esclusione di altre cause di sanguinamento rettale.

Una conferma diagnostica può non essere necessaria in alcuni casi più lievi di PA, in cui la reintroduzione, dopo un adeguato periodo di tempo di dieta di eliminazione, ha il solo scopo di verificare una eventuale avvenuta tolleranza.

Accertamenti non invasivi

  • Esami di laboratorio: gli esami ematici possono essere di supporto alla diagnosi di allergia non-IgE-mediata, sebbene i risultati non siano patognomonici. L’emocromo può rilevare anemia in caso di sanguinamento cronico e ipereosinofilia periferica 36,42,43. Inoltre, in alcuni casi, è possibile riscontrare ipoalbuminemia con iperproteinemia e un aumento delle IgE totali 12,27,44. L’emocromo può essere utile eseguirlo in caso di ematochezia persistente da almeno un mese come suggerito da Miceli Sopo et al. 39; in caso di anemia si procederà alla supplementazione con ferro.
  • Test allergologici: i test allergologici che includono skin prick test (SPT) e ricerca di IgE specifiche sieriche sono solitamente negativi e quindi non sono raccomandati in pazienti con il sospetto di PA al momento della diagnosi 13. Purtuttavia, la sensibilizzazione allergica nella PA varia da un 10 a un 35% a seconda delle casistiche 10,34,43. In particolare, due studi 35,36 hanno dimostrato come la sensibilizzazione verso l’alimento trigger possa essere utilizzata come fattore prognostico, infatti i pazienti con SPT positivo hanno una acquisizione di tolleranza più tardiva rispetto ai pazienti non sensibilizzati. Inoltre, un position paper dell’EAACI afferma che i test allergologici possono essere presi in considerazione negli allattati al seno con segni e sintomi associati ad allergia IgE-mediata, presenza di comorbilità come, ad esempio, la dermatite atopica e dopo un lungo periodo di eliminazione dell’alimento prima della sua reintroduzione, come già suggerito da Miceli Sopo et al. 40 e Nowak 27. L’utilità del patch test è controversa visto che non ci sono studi che hanno validato tale test; pertanto, non è raccomandato effettuarlo come test di routine per la diagnosi di PA 12.
  • Esami su feci:
    • l’analisi delle feci può mostrare la presenza di leucociti polimorfonucleati, tipicamente eosinofili, nei pazienti affetti da PA 45;
    • la calprotectina fecale (CF) che rappresenta il 60% delle proteine citosoliche dei neutrofili, è un marker di infiammazione intestinale 46. Uno studio effettuato su 32 bambini affetti da PA da latte vaccino ha dimostrato come la CF era statisticamente più elevata nel gruppo di pazienti affetti da PA rispetto al gruppo di controllo e che questa si riduceva in maniera statisticamente significativa dopo 4 settimane dall’inizio della dieta di eliminazione 47. Nonostante la CF sia stata trovata essere elevata in pazienti affetti da PA, la sua utilità clinica non è stata ancora stabilita, in parte perché i livelli di CF sono generalmente più alti in bambini di età inferiore ai 6 mesi rispetto a bambini più grandi sani 48. Inoltre, la CF, essendo un marker di infiammazione intestinale, è stata trovata elevata in neonati pretermine con sanguinamento intestinale, anche se il sangue era presente in tracce 49-53.
  • Ecografia addominale con ecocolordoppler: questa viene utilizzata sempre di più per valutare l’infiammazione intestinale che causa un ispessimento della mucosa visibile all’ecografia 54. Un’analisi retrospettiva su 13 bambini affetti da PA mostra che il 92,3% presentava anomalie all’ecografia quali aumento della vascolarizzazione, ispessimento delle pareti intestinali soprattutto nel colon discendente e nel sigma. In questi 13 bambini è stata effettuata la colonscopia che ha mostrato alterazioni compatibili con la PA 55. Tutti i 13 bambini sono stati poi messi a dieta di esclusione e 7 su 13 hanno ripetuto l’ecografia addominale con ecocolordoppler che ha mostrato cambiamenti nella vascolarizzazione e nello spessore della mucosa intestinale. Visto che la fisiopatologia della PA è generalmente legata a infiammazione intestinale, l’ecografia può confermare questa infiammazione, che quando associata alla clinica può suggerire la diagnosi di PA 38,54. Nonostante ciò, le alterazioni visibili all’ecografia addominale con ecocolordoppler sono aspecifiche in quanto posso essere presenti in tutti i casi di infiammazione intestinale come, ad esempio, la colite su base infettiva 38,54. Quindi maggiori studi sono necessari per supportare l’utilizzo ecografico routinario nella diagnosi di PA. Inoltre, è necessaria un’esperienza strumentale dedicata al paziente pediatrico da parte dell’ecografista in questa tipologia di esame diagnostico.

Accertamenti invasivi

  • Colonscopia o sigmoidoscopia flessibile con biopsia: non è necessaria nell’iter diagnostico usuale ma può essere utile effettuarla in pazienti con segni e sintomi atipici come la costipazione o diarrea con feci mucose senza sangue o in caso di grave sanguinamento intestinale, anemia nonostante una dieta di eliminazione 8 oppure se dopo 72-96 ore non c’è risposta clinica alla dieta di eliminazione materna in bambini allattati al seno o dall’inserimento della formula amminoacidica in bambini allattati artificialmente 2. Quando viene eseguita in pazienti affetti da PA mostra un quadro aspecifico di colite con eritema ed edema della mucosa con erosioni, ulcerazioni e perdita della vascolarizzazione 9,31,56. Queste alterazioni endoscopiche sono solitamente confinate al colon distale sebbene possano estendersi anche prossimalmente. La biopsia tipicamente rivela un infiltrato eosinofilico, compresi ascessi eosinofilici, nella lamina propria e nella muscolaris mucosae e iperplasia linfonodulare 7,29,31,32,57. Dergent et al. 58 hanno descritto un caso di PA che mostrava anche la presenza di infiltrato granulomatoso, istiociti e cellule giganti multinucleate nella sottomucosa. Sebbene le caratteristiche istopatologiche non siano patognomoniche di PA, Odze et al. 42 suggeriscono che trovare più di 60 eosinofili su 10 campi ad alto ingrandimento siano sufficienti per fare la diagnosi di PA nel 97,4% dei casi.

Le principali caratteristiche degli accertamenti invasivi e non invasivi per la diagnosi di PA sono riportate in Tabella I (modificata da 38,39).

Diagnosi differenziale

La diagnosi differenziale deve essere posta con le seguenti condizioni 28,59,60:

  • ragadi anali: rappresentano la causa più comune di sanguinamento in bambini di età inferiore all’anno di vita. La diagnosi è clinica, andando a esaminare la mucosa perianale. Il trattamento consiste nell’utilizzo di rammollitori fecali perché spesso si associa a costipazione;
  • invaginazione: i pazienti con invaginazione intestinale presentano tipicamente episodi di improvviso, crampiforme, grave e progressivo dolore addominale accompagnato da pianto inconsolabile con atteggiamento in flessione delle gambe sull’addome. Le feci si presentano tipicamente a gelatina di ribes. Di solito colpisce bambini tra i 6 e i 26 mesi, è infrequente prima dei 3 mesi di vita;
  • enteriti infettive: diversi patogeni possono causare sanguinamento gastrointestinale comprendendo i tipici batteri patogeni enterici (ad es. Campylobacter jejuni, Clostridium difficile, Escherichia coli, Helicobacter pylori, Salmonella, Staphylococcus aureus, Yersinia entercocolitica) e occasionalmente il Rotavirus. Le infezioni devono essere sospettate quando il bambino presenta sanguinamento rettale accompagnato a febbre, dolore addominale, tenesmo, specialmente se vi è storia di contatto con persone che hanno la stessa sintomatologia;
  • diverticolo di Meckel: si presenta come sanguinamento rettale non doloroso in bambini sani. Solitamente è rara la presentazione prima dei 6 mesi di vita. Si può manifestare anche in rari casi con perforazione, invaginazione sul diverticolo stesso o come voluminoso sanguinamento intestinale indolente;
  • sindrome enterocolitica indotta dalle proteine alimentari (FPIES): si può presentare in forma acuta e cronica. La forma acuta è caratterizzata da vomito, diarrea (con o senza sangue), ipotermia, letargia fino a disidratazione e shock ipovolemico. La forma cronica è caratterizzata da diarrea (con o senza sangue), vomito occasionale, perdita di peso con scarso accrescimento. I pazienti con FPIES appaiono più sofferenti rispetto ai pazienti con PA;
  • enteropatia indotta dalle proteine alimentari (FPE): è caratterizzata da malassorbimento, vomito intermittente, scarso accrescimento e, raramente, feci con sangue. La diagnosi è clinica. L’endoscopia con biopsia dell’intestino tenue prossimale conferma l’alterazione dei villi;
  • gastroenterite eosinofilica: è una condizione cronica immunologica gastrointestinale caratterizzata da infiltrato eosinofilico a livello dello strato mucoso, muscolare o sieroso del tratto gastrointestinale. L’infiammazione può causare vomito, dolore addominale, diarrea, sanguinamento intestinale (ematemesi o ematochezia), anemia, ipoalbuminemia, ascite o scarsa crescita;
  • enterocolite necrotizzante: colpisce bambini nati prematuri nel 90% dei casi. Si presenta nel 75% dei casi entro il primo mese di vita;
  • malattia infiammatoria cronica intestinale a esordio precoce: è una rara causa di sanguinamento rettale in età pediatrica caratterizzata da diarrea (con o senza sangue), scarsa crescita e alterazioni perianali (ad es. fistola ano-rettale o ascessi). Può associarsi a malattie autoimmuni (ad es. diabete mellito tipo I, colangite sclerosante, tiroidite, artrite, ecc.). Si manifesta in bambini di età inferiore ai 2 anni di vita;
  • altre cause di sanguinamento rettale: comprendono es. l’ingestione di sangue materno durante l’allattamento attraverso ragadi del capezzolo, cisti da duplicazione intestinale, malformazioni vascolari e iperplasia linfonodulare.

TRATTAMENTO

Il trattamento consigliato della PA consiste generalmente nella rimozione dalla dieta dell’alimento trigger 13.

L’approccio è diverso a seconda che il bambino sia allattato esclusivamente al seno o sia allattato con latte artificiale 28 (Fig. 1):

  • bambini allattati esclusivamente al seno: l’allattamento al seno deve essere incoraggiato se la madre ha la volontà di eliminare completamente l’alimento trigger dalla sua dieta. Il latte vaccino deve essere eliminato per primo dalla dieta materna così come tutti i latticini e i prodotti da forno contenenti latte. Anche il latte di altri mammiferi deve essere eliminato (ad es. capra, pecora, cammella) a causa della cross-reattività con il latte vaccino. Per bambini con segni e sintomi gravi può essere utile consigliare di utilizzare una miscela aminoacidica piuttosto che il latte materno per 3-5 giorni (tempo necessario affinché l’antigene venga eliminato dal latte materno), mentre la madre può tirarsi il latte per mantenere il riflesso di emissione di latte. Con la completa eliminazione dell’antigene alimentare trigger dalla dieta materna, l’ematochezia si risolve entro 72-96 ore, mentre il sangue occulto fecale impiega molte settimane per scomparire 12,27,39, la sua esecuzione può essere confondente e quindi non indicata 28. Il segno più tardivo a scomparire è il muco che impiega 30 giorni secondo lo studio di Uncuoglu et al. 30.
  • La maggior parte dei bambini allattati al seno risponde alla dieta di eliminazione del latte vaccino dalla dieta della madre, solo in pochi casi è necessaria l’eliminazione di altri antigeni alimentari 30,31,36. Uno studio che si discosta da questi dati è quello di Martin et al. 11 in cui solo il 47% dei pazienti risolve le manifestazioni cliniche con la sola dieta di eliminazione per latte vaccino, il 40% risolve con l’eliminazione di latte e soia e il 13% risolve con la dieta di eliminazione per latte, uovo e soia. In altri studi è necessario eliminare altri alimenti come mais, frutta a guscio e pesce 61. La diversa frequenza dei trigger alimentari può dipendere dalle differenti abitudini che si trovano nelle aree geografiche dove gli studi sono condotti, così come succede per altre allergie alimentari non-IgE-mediate (ad es. FPIES) 62.
  • Se i segni e sintomi non si risolvono, il primo step è quello di controllare l’aderenza alla dieta di eliminazione della madre. Se la madre è aderente alla dieta e ha eliminato l’allergene da almeno 2 settimane, ma le manifestazioni cliniche persistono, allora la soia, seguita dall’uovo o da altri alimenti devono essere eliminati dalla dieta della nutrice 63,64. Alcuni bambini possono continuare a presentare segni e sintomi nonostante l’aderenza materna alla dieta di eliminazione. Per questo gruppo di pazienti l’approccio non è stato definito e dovrebbe essere deciso caso per caso, dopo aver discusso le varie opzioni con i genitori. Le diverse possibilità sono:
    1. passare dall’allattamento al seno a un latte estensivamente idrolizzato o a una formula aminoacidica. Questa opzione è da considerare se la madre considera la dieta di eliminazione troppo gravosa o se sta valutando di interrompere l’allattamento per altri motivi personali (ad es. tornare al lavoro);
    2. continuare ad allattare nonostante la persistenza delle manifestazioni cliniche. Questa opzione è controversa, ma può essere appropriata per bambini con forme lievi in accordo con i genitori, dato che può essere gravosa da un punto di vista psicologico. A supporto di questa raccomandazione troviamo lo studio di Arvola et al. 8 che ha preso in esame 40 bambini con sanguinamento rettale, il 68% dei quali allattati esclusivamente al seno. Al momento dell’arruolamento i bambini erano randomizzati a ricevere una dieta di eliminazione per latte vaccino (19 pazienti) o a continuare la dieta invariata (21 pazienti) per un mese. Il follow-up è stato effettuato dopo un mese e all’anno di vita. La dieta di eliminazione per latte vaccino non ha mostrato alcun effetto sulla durata e severità del sanguinamento al follow-up. La durata della ematochezia nei due gruppi di pazienti era simile (5,6 giorni per i pazienti a dieta di eliminazione verso 5,5 nei pazienti a dieta libera, p = 0,94) così come il numero di scariche di feci con sangue non è risultato statisticamente diverso nei due gruppi. Solo un paziente che ha continuato la dieta libera ha necessitato la supplementazione di ferro per lo sviluppo di anemia; quindi, anche il rischio di andare incontro ad anemia si è rivelato molto basso. Un altro lavoro prospettico di popolazione 7 ha dimostrato come il livello di emoglobina misurato a un anno di vita in bambini che hanno continuato la dieta di eliminazione per latte vaccino rispetto a coloro che hanno introdotto più precocemente il latte nella dieta non differisce nei due gruppi di bambini (12,26 mg/dl nel gruppo che effettua dieta di eliminazione vs 12,25 mg/dl nel gruppo non a dieta di eliminazione, p = 0,98).
  • bambini allattati con latte artificiale o allattamento misto: il latte di formula dovrebbe essere sostituito con una formula estensivamente idrolizzata. Utilizzare formule a base di soia non è generalmente raccomandato perché una percentuale significativa di pazienti (15%) che non tollerano il latte vaccino non tollerano neanche la soia 65. Studi più datati riportano una percentuale maggiore, fino al 40% 31,37,66. Circa il 5-10% dei pazienti 27,37 non risponde alla formula estensivamente idrolizzata pertanto deve passare alla formula amminoacidica. Limitate evidenze suggeriscono che la supplementazione con probiotici (ad es. LGG) possa promuovere l’acquisizione di tolleranza 23,67. In caso di mancato miglioramento dei segni e sintomi o diagnosi non sicura, è consigliabile inviare il paziente allo specialista gastroenterologo. Anche in questo caso, un’altra possibilità può essere quella di continuare con latte artificiale o allattamento misto.

Un riassunto di un possibile approccio dietetico nella terapia della PA è mostrato in Tabella II (modificata da 38).

Nel 2018 un algoritmo per il trattamento della PA, basato sulla durata della ematochezia, è stato proposto da Miceli Sopo et al. 40. In caso di durata inferiore o uguale a un mese, gli autori suggeriscono di aspettare la risoluzione spontanea senza apportare modifiche nella dieta; nel caso in cui l’ematochezia superi il mese, gli autori suggeriscono la dieta di eliminazione e, se le manifestazioni cliniche scompaiono il TPO. Se dopo quest’ultimo le manifestazioni cliniche ricompaiono viene suggerito di tornare a dieta di eliminazione per 3 mesi. Questo approccio è suggerito in considerazione del fatto che in uno studio 7 solo il 21,5% dei bambini ha segni e sintomi alla reintroduzione che viene fatta dopo circa 3 mesi. Inoltre, viene anche proposto di effettuare il TPO a domicilio se le IgE specifiche per l’alimento trigger sono negative, in linea con quanto già espresso da Nowak et al. 27.

Nel 2020 Mennini et al. 2 hanno proposto un algoritmo diagnostico secondo il quale se il paziente con PA presenta manifestazioni cliniche di durata maggiore alle 4 settimane, in accordo con Miceli Sopo et al. 40 è consigliabile la dieta di eliminazione materna per latte vaccino nei pazienti allattati al seno oppure formula estensivamente idrolizzata per gli allattati con formula. Se l’intervento dietetico è efficace e le manifestazioni cliniche scompaiono in 72-96 ore, gli autori consigliano di effettuare il TPO. Se le stesse ricompaiono viene suggerito di tornare alla dieta di eliminazione per 3 mesi prima di effettuare nuovamente il TPO. Se invece le manifestazioni cliniche persistono e il bambino è allattato al seno, viene suggerito di escludere anche soia e uova; altrimenti se il bambino è allattato con formula idrolizzata estensiva di passare a miscela amminoacidica. Sia nel caso in cui la dieta di eliminazione per latte, soia e uova, sia in quello che la dieta con miscela amminoacidica non siano efficaci, viene consigliato di effettuare una colonscopia per escludere altre diagnosi. Gli autori non specificano la sede dove deve essere effettuato il TPO né se sia necessario dimostrare la negatività dei test allergologici specifici.

Nella Figura 1 è riportato un possibile algoritmo di diagnosi e trattamento della PA.

Reintroduzione

La reintroduzione dell’alimento trigger deve essere effettuata in tempistiche, setting e modalità che tratteremo di seguito, considerando anche quale approccio utilizzare in caso di recidiva 28 (Fig. 1):

  • tempistica: per i bambini che rispondono clinicamente alla dieta di eliminazione con latte vaccino o altri antigeni alimentari, le linee guida suggeriscono la reintroduzione dell’alimento sospetto a scopo di conferma diagnostica. Vari studi però indicano che l’approccio tradizionale empirico dei pediatri è quello di inserire l’alimento trigger direttamente intorno all’anno di vita 28,32. In alcune situazioni, qualche paziente inizia a reintrodurre limitate quantità di alimento trigger prima dell’anno di vita e occasionalmente prima del 6° mese di vita 31, in particolare se l’alimento è inavvertitamente introdotto nella dieta senza ricomparsa della sintomatologia;
  • durata della dieta di eliminazione: è pratica comune continuare con la dieta di eliminazione, anche nei bambini allattati al seno, fino all’anno di vita 8,31,68. Nello studio di Kaya et al. 32, su 60 pazienti con PA diagnosticati con TPO con latte vaccino, solo il 53% raggiunge la tolleranza a 1,25 anni, il 25% la raggiunge a 2 anni, il 5% a 3 anni e l’1,7% a 4 anni. Nowak 27 sottolinea che la PA è una patologia benigna con una eccellente prognosi. Inoltre, suggerisce di non introdurre l’alimento trigger entro i 6 mesi di vita per la possibile recidiva di sanguinamento. Inoltre, afferma che generalmente i bambini con PA acquisiscono la tolleranza tra 1 e 3 anni di vita e che la maggior parte tollera l’alimento entro l’anno di vita; dall’altro lato, Arvola et al. 9, usando le manifestazioni cliniche per guidare l’approccio terapeutico, hanno dimostrato che la dieta di eliminazione è efficace solo per un sotto gruppo di pazienti i cui segni e sintomi ricorrono al momento della reintroduzione del latte vaccino. Elizur et al. 7 hanno dimostrato una bassa percentuale di recidiva delle manifestazioni cliniche con la reintroduzione precoce (a 5-6 mesi) del latte vaccino e suggeriscono che il TPO deve essere effettuato poco dopo la risoluzione delle stesse per evitare la possibilità di avere falsi positivi e quindi il rischio di una sovra diagnosi di PA e di diete di eliminazione prolungate e non necessarie. In base a questi dati, Miceli Sopo et al. 40 propongono solo 3 mesi di dieta di eliminazione per latte e successiva reintroduzione nella dieta così come confermato successivamente da Mennini et al. 2. In conclusione, i tempi per la reintroduzione dell’alimento offending non sono codificati unanimemente e variano notevolmente nei vari studi. Di solito viene utilizzato come riferimento l’anno di età, ma alcuni autori 2,40 in base al solo studio di Elizur et al. 6 consigliano di riprovare dopo 3 mesi di dieta. Anche nello studio di Martin et al. 10 la tolleranza si instaura dopo 50 giorni mediamente; a ogni modo, nello studio precedente la diagnosi di PA è sovrastimata perché considera anche il solo sangue occulto come sintomatologia sufficiente per la diagnosi di PA. In generale tempi più lunghi nella reintroduzione potrebbero essere riservati ai casi più gravi o associati ad allergia alimentare IgE mediata, in cui è stato dimostrato che la tolleranza si instaura più tardivamente 35,36;
  • setting: per i bambini che hanno presentato segni e sintomi tipici come ematochezia e che sono stati trattati con successo con la formula estensivamente idrolizzata o aminoacidica, la reintroduzione del latte vaccino può avvenire in ambiente protetto o a domicilio;
  • modalità di introduzione in ambiente protetto: sono stati utilizzati diversi schemi 7,32. Nel lavoro di Elizur et al. 7 la dose viene incrementata partendo da 1 ml di latte diluito 1:10 (2,7 mg di proteine di latte vaccino) fino a 120 ml di latte puro (3,24 g di proteine di latte vaccino). Il TPO viene interrotto in caso di comparsa di segni sintomi cutanei, gastrointestinali o sistemici. In caso di TPO negativo il paziente è osservato per 3 ore e dimesso. Lo stesso viene contattato 2 settimane dopo per indagare sulle sue abitudini alimentari. Nel lavoro di Kaya et al. 32 viene incrementata la dose ogni 15 minuti partendo da 0,1, 1,0, 3,0, 10, 30, 50 e 100 ml di latte vaccino. Se il TPO è negativo il paziente continua ad assumere l’alimento a domicilio e l’allergologo contatta il paziente per verificare l’eventuale comparsa di segni e sintomi tardivi e per indagare sulle sue abitudini alimentari;
  • modalità di introduzione a domicilio: questa varia a seconda che il bambino sia allattato al seno o allattato con formula. Sia nel lavoro di Nowak-Węgrzyn et al. 26 che in quello di Miceli Sopo et al. 40 viene suggerito, prima di procedere al TPO a domicilio, di confermare la negatività di IgE specifiche per il latte vaccino:
    • per i bambini allattati al seno: la madre inserisce 30 ml di latte vaccino (o una dose equivalente per i latticini) nella dieta e aumenta di 30 ml ogni giorno fino a liberalizzare completamente la dieta per latte vaccino 2,27,40;
    • per i bambini allattati con formula o che non sono più allattati al seno: vengono aggiunti 30 ml di latte vaccino al quantitativo di latte in formula che attualmente il bambino sta assumendo e si procede ad aumentare di 30 ml ogni 2-3 giorni fino alla dose desiderata 28. Questa modalità di introduzione graduale viene portata avanti fino a quando non è raggiunta una dose di latte vaccino appropriata per età. Il bambino viene osservato clinicamente per monitorare l’eventuale ricomparsa di ematochezia, diarrea, irritabilità o altre manifestazioni cliniche. L’eventuale recidiva delle manifestazioni cliniche avviene generalmente entro 1-2 settimane dall’inserimento dell’allergene. La reintroduzione del latte vaccino è di solito tollerata. Se dovesse fallire, un’opzione potrebbe essere quella di introdurre i prodotti da forno contenenti latte nella dieta del bambino prima di procedere all’inserimento del latte vaccino puro 28;
  • recidiva: se l’ematochezia si ripresenta durante l’introduzione dell’alimento trigger, la dieta di eliminazione deve essere ripresa per ulteriori 3 mesi dopo i quali un nuovo tentativo di introduzione dell’alimento trigger può essere effettuato 2,7.

GESTIONE MULTIDISCIPLINARE DELLA PA

Per l’ottimale gestione del paziente affetto da PA è indispensabile un approccio multidisciplinare che vede il coinvolgimento di più specialisti quali il pediatra di famiglia, l’allergologo, il gastroenterologo e il dietista 38. Secondo la nostra opinione la gestione del paziente con sospetta PA può essere inizialmente ad appannaggio del pediatra di famiglia che, nel caso di allattamento al seno, può consigliare alla madre di escludere dalla sua dieta il latte vaccino e, nel caso di allattamento artificialmente, può consigliare di passare all’idrolisato estensivo o alla miscela aminoacidica e inviare il paziente all’allergologo. In alcuni casi (lievi) l’opzione di non fare alcuna dieta può essere presa in considerazione in accordo con i genitori.

L’allergologo effettua test allergologici per l’alimento escluso dalla dieta prima della sua reintroduzione per decidere il setting giusto di reintroduzione (a domicilio se test allergologici negativi o in ambiente protetto se test allergologici positivi) e per decidere il timing visto che la positività dei prick test pone il paziente a rischio di una più tardiva acquisizione di tolleranza. L’allergologo, inoltre, conferma la diagnosi con TPO, valuta l’esclusione di altri allergeni oltre al latte vaccino e l’indicazione all’idrolisato estensivo o alla miscela aminoacidica.

L’allergologo invia al gastroenterologo i casi clinici complessi, cioè quei bambini che non rispondono alla dieta di eliminazione per più allergeni o a miscela aminoacidica, per valutare la necessità di effettuare ulteriori approfondimenti, come un esame endoscopico.

Il dietista avrà un ruolo importante per guidare la dieta materna in caso di dieta di eliminazione per uno o più alimenti indicati, per assicurare il corretto apporto di calorie, calcio e di nutrienti nella dieta 28 (Tab. III).

Uno psicologo può essere coinvolto come supporto alle madri in caso di ansia soprattutto se sono necessarie diete per alimenti multipli.

COINVOLGIMENTO DEI GENITORI

È necessario coinvolgere i genitori nella gestione del bambino con PA, illustrando loro i vantaggi e gli svantaggi di ogni singola scelta (Tab. IV).

È importante considerare che lo stato di ansia delle madri di bambini con PA è molto alto come dimostrato dallo studio di Sancakli et al. 69 in cui lo score delle mamme di pazienti con PA è più alto (in particolare se devono seguire diete di eliminazione per molteplici alimenti) rispetto a quello di mamme di pazienti sani.

PROGNOSI

La prognosi della PA è buona visto che la maggior parte dei bambini è capace di tollerare il latte vaccino entro l’anno di vita 10,31,63,70. Secondo lo studio prospettico osservazionale di Martin et al. 11, l’esordio e la diagnosi della PA è intorno al mese di età e la tolleranza si instaura mediamente dopo 50 giorni di dieta di eliminazione. La prognosi è buona anche nei casi in cui non viene seguita alcuna dieta (15%).

Nonostante questo, è stato dimostrato che circa un 30-40% dei pazienti acquisisce la tolleranza verso l’alimento trigger di PA dopo l’anno di vita 27,32-34 e che un altro 5% sviluppa la tolleranza dopo i 3 anni di vita 33.

Senocak et al. 10 hanno dimostrato che i pazienti che acquisivano più tardivamente la tolleranza (> 1 anno di vita) erano quei pazienti che presentavano diarrea, in associazione a ematochezia, come manifestazione clinica e che erano stati messi a dieta con miscela aminoacidica.

Buyuktiryaki et al. 35 hanno dimostrato che l’utilizzo di antibiotici nei primi sei mesi di vita, la presenza di coliche, di PA per molteplici alimenti e la sensibilizzazione allergica ad alimenti sono fattori di rischio per sviluppare una tolleranza più tardiva.

È stato dimostrato, in diversi studi, che solo il 20% dei bambini allattati al seno con PA ha una risoluzione spontanea delle manifestazioni cliniche senza modifiche nella dieta materna 27,33,43, quindi questo dato non è in linea con la proposta di aspettare un mese prima dell’avvio della dieta di esclusione, nella prospettiva di una risoluzione spontanea della sintomatologia.

Uno studio prospettico osservazionale su una corte di bambini sani ha dimostrato che i bambini con PA presentano un rischio doppio di sviluppare un’allergia alimentare IgE mediata rispetto ai bambini senza PA e che il latte è l’alimento che si associa maggiormente allo sviluppo di allergia IgE mediata 71. Quale sia l’esatto tasso di conversione da PA ad allergia IgE mediata verso lo stesso alimento trigger non è ben conosciuto. Uno studio 36 ha mostrato che 3,6% dei pazienti con PA sviluppavano un’allergia IgE mediata verso lo stesso alimento trigger in corso di follow-up e che questi pazienti raggiungevano in maniera statisticamente significativa una acquisizione di tolleranza verso il latte più tardivamente rispetto ai pazienti che non avevano presentato una conversione IgE mediata (19 mesi verso 11 mesi, p < 0,001). Lo stesso studio non ha trovato fattori di rischio predittivi di conversione ad allergia IgE-mediata.

Altri autori hanno mostrato come il rischio di sviluppare disordini funzionali gastrointestinali all’età di 4 anni era del 4,39% (intervallo di confidenza 95% 1,03-18,68) ed era più frequente in pazienti che avevano manifestazioni cliniche più gravi di PA con ematochezia di maggior durata e più giovane età alla comparsa dei segni e sintomi 72.

Esiste solo uno lavoro 73 che ha valutato l’evoluzione in malattia infiammatoria cronica intestinale dei pazienti con PA e che ha dimostrato come a distanza di 5-10 anni nessuno dei 13 pazienti arruolati aveva sviluppato malattie infiammatorie croniche intestinali. Mancano a oggi studi più numerosi e con follow-up più lungo che valutino questo specifico aspetto.

CONCLUSIONI

La PA è una condizione benigna che generalmente colpisce i bambini nei primi mesi di vita soprattutto se allattati esclusivamente al seno. Il latte vaccino è l’alimento trigger maggiormente implicato nella patogenesi di questa condizione. La diagnosi è clinica e il trattamento consiste nella dieta di eliminazione dell’alimento trigger per un periodo opportuno. La gestione deve coinvolgere il pediatra di famiglia, lo specialista allergologo, gastroenterologo, il dietista e talvolta lo psicologo. Infine, i genitori devono essere attivamente coinvolti nella valutazione delle singole opzioni. La maggioranza dei bambini tollera l’alimento trigger nel primo anno di vita. Esiste un crescente bisogno di caratterizzare meglio questa condizione dal punto di vista fisiopatologico per identificare potenziali biomarcatori in grado di aiutare il clinico a porre la diagnosi e capaci di predire l’età di acquisizione della tolleranza per evitare diete di eliminazione inutili e prolungate.

Figure e tabelle

FIGURA 1. Proposta di algoritmo di diagnosi e trattamento della proctocolite allergica. Proposal of an algorithm for the diagnosis and treatment of allergic proctocolitis.

Età di presentazione Prime settimane-mesi di vita (< 6 mesi)
Occasionalmente può insorgere in bambini di età maggiore
Alimenti Più comune: latte vaccino, soia
Meno comune: uovo, mais, grano
Molteplici trigger alimentari Occasionalmente
Tipo di allattamento alla diagnosi Allattamento al seno (> 60%)
Presentazione clinica Presenza di sangue rosso vivo con o senza muco in feci con o senza diarrea in bambini altrimenti sani
Meno comune: flatulenza, rifiuto ad alimentarsi, coliche addominali, conati di vomito
Comorbilità atopiche 22-52% (eczema)
Familiarità atopica: 25-50%
Esami di laboratorio Lieve anemia
Eosinofilia
Ipoalbuminemia (rara)
Aumento delle IgE totali (occasionale)
Esami su feci Eosinofili
Sangue visibile o occulto
Endoscopia/istologia Colite focale, infiltrato eosinofilico, iperplasia linfonodulare
Test allergologici* Di solito negativi, positivi in un 10-35% dei casi
Diagnosi Clinica +/- TPO
Trattamento Evitamento dell’alimento trigger (se allattato al seno dieta materna)
Risoluzione delle manifestazioni cliniche con dieta di eliminazione 72-96 ore
Storia naturale Risoluzione nel primo anno di vita
TPO: test di provocazione orale. * Da eseguire: prima della reintroduzione dell’alimento nella dieta per decidere il giusto setting; come fattore prognostico su acquisizione di tolleranza.
TABELLA I. Caratteristiche cliniche e laboratoristiche della proctocolite allergica. Clinical and laboratory characteristics of allergic proctocolitis
Latte vaccino Nel bambino allattato al seno:
1a scelta: dieta di eliminazione materna
2a scelta: eHF
3a scelta: AAF
Nel bambino allattato con formula:
1a scelta: eHF
2a scelta: AAF se fallisce la eHF
Soia Dieta di eliminazione in caso di mancata risposta clinica alla sola dieta di eliminazione con latte vaccino
Uova Dieta di eliminazione in caso di mancata risposta clinica alla dieta di eliminazione con latte vaccino e soia
AAF: formula aminoacidica; eHF: formula estensivamente idrolizzata.
TABELLA II. Trattamento dietetico nella proctocolite allergica. Dietary treatment in allergic proctocolitis.
Pediatra di famiglia Gestisce la dieta di eliminazione nei casi lievi
Invia allo specialista allergologo
Allergologo Esegue test allergologici per decidere setting di reintroduzione e per valutare la prognosi
Verifica la diagnosi con TPO
Valuta la prescrizione di eHF o AAF
Gastroenterologo Gestisce casi clinici complessi
Esegue esame endoscopico se necessario
Dietista Supporta pazienti con diete prolungate e/o per molteplici alimenti
Psicologo Eventuale supporto alle madri in caso di ansia soprattutto se sono necessarie diete di esclusione per alimenti multipli
AAF: formula aminoacidica; eHF: formula estensivamente idrolizzata; TPO: test di provocazione orale.
TABELLA III. Figure sanitarie interessate alla gestione del bambino con PA. Healthcare professionals interested in the management of children with AP.
Opzione terapeutica Vantaggi Svantaggi
Dieta empirica Semplice ed efficace Rischio di sovra diagnosi
Può essere gestita dal pediatra di famiglia Mancata diagnosi di certezza
Spesso più lunga del necessario
Dieta di eliminazione dopo TPO diagnostico Esclude i falsi positivi Recidiva di sanguinamento dopo periodo di benessere
Diagnosi di certezza
“Vigile attesa” (non dieta) Evita la dieta di eliminazione Ansia genitoriale
Economica (evita eventuali eHF o AAF) Solo il 20% dei pazienti supera l’ematochezia senza dieta di eliminazione
Possibile insorgenza di anemia a lungo termine
AAF: formula aminoacidica; eHF: formula estensivamente idrolizzata; TPO: test di provocazione orale.
TABELLA IV. Vantaggi e svantaggi delle diverse opzioni terapeutiche nella gestione dei pazienti affetti da PA. Advantages and disadvantages of different therapeutic options in the management of patients with AP.

Downloads

Authors

Simona Barni - SOSA Allergologia, Ospedale Pediatrico Meyer IRCCS, Firenze

Francesca Mori - SOSA Allergologia, Ospedale Pediatrico Meyer IRCCS, Firenze

Mattia Giovannini - SOSA Allergologia, Ospedale Pediatrico Meyer IRCCS, Firenze

Lucia Liotti - UOC Pediatria, AOU Ospedali Riuniti Ancona, Presidio Ospedaliero di Alta Specializzazione “G. Salesi”, Ancona

Carla Mastrorilli - UO Pediatria e Pronto Soccorso, Azienda Ospedaliero-Universitaria Consorziale Policlinico, Ospedale Pediatrico “Giovanni XXIII“, Bari

Luca Pecoraro - UOC Pediatria, Dipartimento di Scienze Chirurgiche, Odontoiatriche, Ginecologiche e Pediatriche, Università di Verona

Francesca Saretta - SC Pediatria, Ospedale Latisana-Palmanova, Azienda Sanitaria Universitaria Friuli Centrale, Udine

Riccardo Castagnoli - Clinica Pediatrica, Università degli Studi di Pavia, IRCCS Policlinico San Matteo, Pavia

Stefania Arasi - Ricerca Traslazionale nell’Area delle Specialità Pediatriche, Unità di Allergologia, Ospedale Pediatrico “Bambino Gesù“, IRCCS, Roma

Lucia Caminiti - Dipartimento di Patologia Umana dell’Adulto e dell’Età Evolutiva “Gaetano Barresi“, UOS Allergologia Pediatrica, UOC Pediatria, AOU Policlinico “Gaetano Martino“, Messina

Elio Novembre - SOSA Allergologia, Ospedale Pediatrico Meyer IRCCS, Firenze

How to Cite
Barni, S., Mori, F., Giovannini, M., Liotti, L., Mastrorilli, C., Pecoraro, L., Saretta, F., Castagnoli, R., Arasi, S., Caminiti, L., & Novembre, E. (2023). Proctocolite allergica: revisione della letteratura e proposta di un algoritmo diagnostico-terapeutico. Italian Journal of Pediatric Allergy and Immunology, 37(4). https://doi.org/10.53151/2531-3916/2023-265
  • Abstract viewed - 5226 times
  • PDF downloaded - 793 times