ECM-FAD
Issue 1 - 2023
La ipersensibilità a farmaci nel bambino: come comportarsi
Abstract
Le reazioni di ipersensibilità ai farmaci sono una realtà che il clinico si trova sempre più spesso a fronteggiare nella pratica quotidiana. Si manifestano in modo eterogeneo ed hanno un’eziologia multifattoriale. Le manifestazioni cliniche possono essere gravi, tali da portare al decesso. La ricerca in campo immunologico ha permesso di capire la maggior parte dei meccanismi che sono sottesi alle reazioni di ipersensibilità farmacologica, tuttavia non di prevenire le reazioni. È noto che le reazioni avverse ai farmaci sono causa del 3-6% dei ricoveri ospedalieri e avvengono nel 10-15% dei soggetti ricoverati, con conseguente morbilità, ricovero prolungato e mortalità. Un bambino non va considerato allergico ai farmaci sulla base della sola anamnesi senza avere condotto la diagnostica allergologica necessaria. Nella maggior parte dei casi di fronte a un’ipersensibilità ad un farmaco, si evita l’utilizzo dello stesso. Tuttavia, per alcuni pazienti, il farmaco può essere essenziale per una terapia ottimale. In queste circostanze, è possibile sottoporre il paziente alla desensibilizzazione
Introduzione
Le reazioni di ipersensibilità a farmaci (Drug Hypersensitivity Reactions, DHRs) sono un evento che il clinico si trova sempre più spesso a fronteggiare nella pratica quotidiana. Rappresentano la causa del 3-6% dei ricoveri ospedalieri e si presentano nel 10-15% dei soggetti ricoverati. Le DHRs si manifestano in modo eterogeneo anche grave, tale da portare a morte il paziente, riflettendo meccanismi patogenetici diversi. Questi indirizzano l’iter diagnostico.
Meccanismi patogenetici
Per le DHRs la storica classificazione di Gell e Coombs si dimostra inadatta alla luce delle nuove conoscenze. Tale classificazione infatti non considera le reazioni pseudoallergiche (Pseudo Allergic Reactions, PARs) e classifica i fenotipi delle DHRs (cioè le diverse modalità di presentazione clinica e i diversi tempi di reazione) ma non gli endotipi. Gli endotipi delle DHRs comprendono i meccanismi patogenetici delle reazioni di ipersensibilità a farmaci, campo le cui conoscenze si sono molto sviluppate negli ultimi anni 1,2 (Tab. I). Per definire correttamente la patogenesi delle DHRs occorre inoltre tenere conto di vari cofattori, che spesso interferiscono in modo determinante con sviluppo, presentazione clinica, gravità e durata della reazione.
Modello aptenico (Hapten theory)
Concetto introdotto da Landstainer e Jacob nel 1936 secondo il quale tranne alcune rare eccezioni (ad es. insulina, destrano) il farmaco da solo non può agire direttamente come allergene per via del PM troppo basso (< 1.000 Dalton). La reazione richiede il legame del farmaco a peptidi endogeni, in genere rappresentati da proteine solubili (ad es. albumine, trasferrina) o legate a cellule (ad es. integrine, selectine) 3. Tale concetto nel tempo è stato modificato, in quanto si è visto che spesso il farmaco si comporta come pro-aptene essendo i veri apteni i prodotti del suo metabolismo (prohapten theory) 4. Il legame covalente proteina endogena - farmaco determina la formazione dell’antigene completo (apten-protein complex), non ristretto a un particolare tipo di HLA in quanto i complessi aptene-peptide possono essere presentati da diversi tipi di HLA 4. La formazione dei metaboliti avviene a livello epatico e riguarda la piccola parte di peptidi che sfuggono ai meccanismi di detossificazione 5. Tale meccanismo richiede tempo per instaurarsi (formazione del complesso aptene proteina, processazione, esposizione nella molecola HLA, espansione di cloni linfocitari T e B) ed è altamente specifico, in grado di discriminare apteni con struttura chimica simile 6. Per questi motivi si ritiene che nella fase effettrice delle reazioni IgE mediate, dove è tipica la immediata liberazione di mediatori, sia sufficiente un legame non covalente tra farmaco e proteina carrier 7.
Reazioni pseudoallergiche
Il prefisso “pseudo” è usato per descrivere una condizione clinicamente simile alle reazioni allergiche IgE mediate ma in cui le IgE non assumono alcun ruolo patogenetico. Non richiedono sensibilizzazione, non sono specifiche, appaiono usualmente alla dose terapeutica. Sono reazioni frequenti in quanto rappresentano circa i 2/3 delle DHRs. I farmaci più spesso causa di PARs sono farmaci antinfiammatori non steroidei (FANS), mezzi di contrasto, miorilassanti, chinolonici, vancomicina 1. I meccanismi patogenetici sono diversi: attivazione del complemento (Complement Activation Related Pseudoallergy, CARPA), stimolazione della fosfolipasi D, inibizione della COX 1 con induzione della sintesi di leucotrieni 8. Alcuni effetti sono correlati al legame con il recettore MRGPR X2 (Mas-Related G-Protein-coupled Receptor member X2) presente sui mastociti che stimola la liberazione dei mediatori 9.
Interazione farmacologica (Pharmachologic Interaction concept o P-I concept)
Si tratta di un meccanismo non immunitario che può intervenire nella patogenesi delle reazioni cellulo-mediate da farmaci, ancora non sufficientemente caratterizzato e studiato. Il farmaco o un suo metabolita può legarsi direttamente sulla superficie cellulare a T cell receptor (TCR) o HLA (off target effect) rafforzando la interazione con un peptide antigenico contenuto nella tasca HLA senza la processazione dell’antigene. Pur essendo il legame labile, non covalente, basato su forze di van der Waals, legami a idrogeno e interazioni elettrostatiche, tuttavia può determinare un’attivazione policlonale insolita e potente dei linfociti T 10. Si distinguono forme in cui il farmaco si lega all’HLA (p-HLA) e forme in cui si lega al TCR (p-TCR): alcuni farmaci possono legare entrambi contemporaneamente. Si tratta di reazioni dose dipendenti, in quanto per ottenere la stimolazione occorre il raggiungimento nel tempo di un accumulo farmacologico. La DHR compare tipicamente dopo 5-7 giorni dalla assunzione del farmaco, dopo che i T linfociti, preattivati da parte di altri antigeni (ad es. virus) sono migrati nella cute. Possono determinare manifestazioni cliniche gravi 10.
Alterazione del repertorio self (Altered Repertoire, AR)
In alcuni casi il legame non covalente del farmaco o un di un suo metabolita con l’HLA provoca un’alterazione strutturale della regione di legame (tasca) di quest’ultima. Tale alterazione favorisce il mancato riconoscimento di peptidi self e può innescare una reazione di tipo autoimmune 3.
Cofattori
Perché si manifesti una DHR sono spesso necessari una serie di cofattori, alcuni dei quali in certi casi assumono un ruolo talmente importante da rappresentare un requisito fondamentale per la comparsa della reazione.
Aplotipo HLA
Che alcune reazioni a farmaci siano favorite da specifici aplotipi HLA è noto da tempo. Esempi sono la reattività all’abacavir che è associata ad HLA-B 57:01 in almeno il 50% dei casi, e le reazioni ad allopurinolo sono spesso associate a HLA B 58:01 11. Gli aplotipi HLA a rischio variano nei diversi gruppi etnici. La stretta associazione tra farmaci antiepilettici a struttura aromatica (carbamazepina, oxcarbazepina, lamotrigina fentoina e fenobarbital) e HLA B 15:02 si riscontra nelle popolazione caucasiche, mentre nel Nord Est asiatico (Corea, Giappone) prevale l’HLA 15-11. In Europa, l’HLA B 57:01 ha stretta associazione con la sindrome di Steven Johnson (SJS) da carbamazepina, mentre la Drug Reacion with Eosinophilia and Systemic Symptoms (DRESS) da vancomicina è spesso associata a HLA A 32:01 11. Vi è anche associazione tra HLA-B*15:02 o HLA-A*31:01 e reazioni gravi alla carbamazepina rispettivamente in Asia e in Europa; associazione tra HLA-B* 48:01 e DRESS da carbamazepina; associazione tra HLA-A*02:06 o HLA-B*59:01 e SJS/TEN da carbamazepina in Giappone.
Distribuzione cutanea di cellule T memoria
Le cellule T memoria (CCR7 e CD62L positive) possono essere distinte in 2 categorie: centrali (TCM) ed effettrici (TEM). Le TCM si localizzano preferibilmente negli organi linfoidi secondari mentre le TEM circolano nel sangue e agiscono come cellule sentinella, localizzandosi in tessuti barriera come cute, fegato, intestino, polmone, mucose 12. In alcuni casi le TEM prodotte in seguito a infezioni virali e massivamente migrate nella cute possono cross-reagire con farmaci, presentati da APC o cheratinociti 12. Questo meccanismo risulta importante nella patogenesi delle eruzioni cutanee fisse da farmaci.
Alterato metabolismo del farmaco
Un aumento dei livelli ematici del farmaco può predisporre a DHRs. Esempio è la riduzione della funzionalità renale, che predispone a severe DHRs ad allopurinolo 13. A livello epatico un’alterazione dei meccanismi di detossificazione (ad es. polimorfismi dell’enzima P450 o la rapida acetilazione) è fattore predisponente alle DHR 14.
Infezioni virali
Correlazioni tra infezioni virali e DHRs sono note da tempo. Esempi sono la frequenza dell’esantema maculo papulare (MPE) ad ampicillina/amoxicillina in corso di infezione da EBV, l’aumentata prevalenza di reazioni a trimetoprim-sulfametossazolo (TMP-SMX) in pazienti con infezione da HIV, l’associazione tra infezione da HHV-6 e allergia ad anticonvulsivanti 15. I meccanismi attraverso i quali l’infezione virale favorisce l’ipersensibilità a farmaci sono numerosi e ancora poco conosciuti. È stato postulato che ogni risposta immune di tipo ritardato a un farmaco possa avvenire solo in caso di presenza di segnali di pericolo (danger signals) derivanti da una condizione di stress (chimico, fisico o virale) 14. È stato proposto che il MPE da amoxicillina durante l’infezione da EBV sia da attribuire all’attivazione policlonale delle cellule T indotta dal virus, che determina un numero crescente di CD8+ attivati e un aumento dei livelli e dell’attività di IFNγ e IL-2. Di conseguenza, l’attività dei linfociti Th2 viene inibita, con soppressione del rilascio delle citochine come la IL10, necessaria per mantenere la tolleranza immunitaria 16. Nei pazienti con infezione da HIV la frequenza di ipersensibilità a TMP-SMX è del 40-80% ed è stata attribuita alla deplezione di glutatione nelle cellule CD4, che aumenta i metaboliti reattivi dell’ossigeno, e alla tossicità del nitrosulfametossazolo (nSMX), metabolita del sulfametossazolo. Tale sbilanciamento è favorito dalle proteine del gruppo Tat, prodotte dal virus ed essenziali per la replicazione virale 17. Un altro elemento da tenere presente nello studio delle interazioni virus-farmaci è rappresentato dalla riattivazione virale. Tale processo riguarda virus del gruppo herpes, capaci di mantenersi silenti per lunghi periodi nell’organismo dopo l’infezione primaria. La loro riattivazione è frequente durante gravi reazioni cutanee ritardate a farmaci (Severe Cutaneous Allergic Reactions, SCAR). In queste patologie si crea uno stato transitorio di immunosoppressione, che facilita la riattivazione virale 17. Nella DRESS, l’HHV6 gioca un ruolo importante nell’espressione clinica della malattia e la sua riattivazione (che rappresenta un criterio diagnostico) avviene dopo 2 settimane dall’inizio dei sintomi e rappresenta un importante fattore aggravante la patologia in quanto porta ad aumento del TNF, disfunzione dei T reg ed espansione di CD4 e CD8 con rischio di patologia multiorgano 18. La riattivazione virale può comunque avvenire in tutte le SCAR, rappresenta un criterio di gravità, riguarda i virus del gruppo herpes e segue spesso un preciso ordine cronologico: EBV→HHV6 →HHV7→CMV 18. L’amoxicillina sembra essere un fattore aggravante, analogamente a quanto avviene nel MPE in corso di infezione da EBV 17.
Quadri clinici
Le reazioni a farmaci si distinguono in immediate e ritardate. Le prime si verificano entro 1 ora dall’assunzione del farmaco e sono per lo più associate a un meccanismo patogenetico IgE-mediato o pseudo-allergico. Le reazioni ritardate si verificano oltre 6 ore dall’ultima assunzione del farmaco, in genere dai 2 ai 5 giorni e sono cellulo-mediate. Nell’intervallo temporale da 1 a 6 ore si possono ancora avere reazioni immediate.
Reazioni immediate
Orticaria/angioedema
L’orticaria è una condizione caratterizzata dalla comparsa di ponfi, angioedema o entrambi. Il ponfo è costituito da un rigonfiamento superficiale ben circoscritto di forma e dimensioni variabili da pochi millimetri a diversi centimetri, spesso circondato da un alone eritematoso; è pruriginoso, a rapida risoluzione (entro 24 ore) ed evoluzione a gittate successive 19. I ponfi possono presentarsi in qualunque distretto cutaneo e le gittate successive possono comparire nella stessa o in altre sedi. Nei bambini il prurito è di variabile intensità 20. L’angioedema è costituito da un rigonfiamento del derma profondo, del sottocute o della sottomucosa, con cute sovrastante eritematosa o di colore normale; è associato a formicolio, bruciore e dolore piuttosto che a prurito ed è caratterizzato da una risoluzione più lenta rispetto al ponfo (entro 72 ore) 19. Le sedi maggiormente coinvolte sono: palpebre, labbra, genitali, mani e piedi. La diagnosi differenziale tra orticaria da farmaci e orticaria infettiva risulta spesso difficile e ciò determina la sovrastima della prima. L’orticaria farmaco indotta può esordire entro 2 settimane dall’avvio del primo trattamento o anche immediatamente nel caso in cui il soggetto sia già stato sensibilizzato; ha un decorso favorevole con risoluzione spontanea, spesso rapida (di norma entro 6 settimane) 20,21. I farmaci maggiormente incriminati in età pediatrica sono beta-lattamici, sulfonamidici e FANS 22. Una variante morfologica tipica della prima infanzia frequentemente legata all’assunzione di farmaci è l’orticaria multiforme, caratterizzata dall’insorgenza acuta di pomfi anulari o con tipico aspetto a bersaglio con zona centrale più scura ed ecchimotica, parte intermedia edematosa e pallida e alone eritematoso periferico. Le manifestazioni pomfoidi si accompagnano a edema del volto e delle estremità e a febbre. Spesso tale sottotipo di orticaria viene confuso con l’orticaria vasculitica o con l’eritema multiforme: la presenza di prurito, il dermografismo, la fugacità delle lesioni e il risparmio delle mucose orientano nella diagnosi 23. L’orticaria costituisce il 5% delle reazioni cutanee da ipersensibilità a farmaci 24.
Anafilassi
L’anafilassi è una reazione avversa acuta sistemica potenzialmente pericolosa per la vita a rapida evoluzione. Coinvolge spesso (90% dei casi) cute e mucose con prurito, eritema, pomfi, angioedema. Può interessare le vie aeree (rinite, laringospasmo, asma), l’apparato cardiocircolatorio (ipotensione, sincope, arresto cardiocircolatorio) e l’apparato gastrointestinale (dolori addominali, vomito, diarrea). L’orticaria, il vomito, e l’edema laringeo sono i sintomi più frequenti nel bambino. Nell’età pediatrica l’anafilassi da farmaci è più frequente in epoca adolescenziale 25 e le molecole più frequentemente in causa sono gli antibiotici (in particolare i beta-lattamici) seguiti dai FANS. La via di somministrazione incide su rapidità di insorgenza e gravità dei sintomi in quanto le vie intramuscolare ed endovenosa generalmente determinano reazioni più rapide e gravi rispetto alla via orale 26. Alcuni studi hanno dimostrato che la somministrazione EV lenta può determinare la comparsa di sintomi più tardivamente rispetto a quella orale in quanto si ha un raggiungimento più lento della dose cumulativa scatenante 20.
Reazioni cutanee ritardate lievi (Mild Cutaneous Allergic Reactions, MCAR)
Esantema maculo-papulare (MPE)
È la più frequente reazione di ipersensibilità a farmaco 27. I farmaci più frequentemente implicati sono gli antibiotici betalattamici, i sulfamidici e gli antiepilettici 21. L’esantema di solito compare 5-7 giorni (range 4-14) dall’inizio della terapia. Tuttavia, in un individuo già sensibilizzato, i sintomi iniziali possono già comparire in poche ore e svilupparsi in un tipico esantema con massima estensione in 1 o 2 giorni. MPE può raramente insorgere anche alcuni giorni dopo l’interruzione del farmaco. Macule eritematose e papule infiltrate a volte pruriginose sono le lesioni primarie. Il tronco e le estremità prossimali sono le sedi più spesso coinvolte, con distribuzione simmetrica. Gli esantemi diffusi possono estendersi a tutto il corpo, divenire confluenti ed evolvere in una eritrodermia. La desquamazione è comune nella fase risolutiva, in cui può residuare una iper- o ipopigmentazione. Le mucose normalmente non sono coinvolte. L’MPE si risolve generalmente nell’arco di 7-14 giorni dopo interruzione del farmaco responsabile. Il prurito può essere controllato con uso di antistaminici 21. La maggior parte delle MPE compare durante un episodio febbrile e non è dovuta al farmaco, generalmente un antibiotico, ma alla forma infettiva intercorrente di solito lieve 28. D’altra parte le infezioni virali possono condizionare lo sviluppo di reazioni di ipersensibilità immunomediata al farmaco (ad es. mononucleosi). In queste situazioni, nell’incertezza diagnostica può essere continuata l’assunzione del farmaco, dopo avere valutato il rapporto rischio/beneficio, quando c’è la possibilità di seguire il decorso clinico in quanto il MPE può potenzialmente essere la prima manifestazione di una SCAR [ad es. SJS/ necrolisi epidermica tossica (TEN), DRESS], che di solito diviene conclamata nell’arco di 48 ore. Segni di allarme sono intenso coinvolgimento facciale, eritema rosso scuro grigio-violaceo, lesioni a bersaglio atipiche, bolle, pustole, vescicole o croste, febbre ≥ 38°C, sintomi sistemici, alterazioni della conta delle cellule del sangue, ipocomplementemia. Per questi motivi il decorso del MPE deve essere monitorato attentamente nella fase iniziale per escludere la comparsa di segni precoci di SCAR. Solo quando viene accertato il decorso benigno del quadro clinico può essere posta diagnosi di MPE 28. Il MPE è legato alla reazione immune ritardata tipo IV mediata dalle cellule T. I linfociti Th2 rilasciano IL-4, IL-5, IL-13, eotaxina e inducono la flogosi eosinofila. I CD4+/CD8+ T citotossici liberano perforine, ligando Fas (FasL) e altre sostanze.
Eritema multiforme (EM)
L’EM è caratterizzato dalla comparsa di macule eritematose o violacee che in seguito assumono il classico aspetto a bersaglio. Questo consiste in un anello edematoso circondato da un alone eritematoso e al centro un’area più scura che può esitare in necrosi e vescicolazione 29. L’eventuale confluenza dei singoli elementi può comportare la perdita dell’aspetto a bersaglio 30. La distribuzione delle lesioni è di norma simmetrica e coinvolge prevalentemente gli arti. L’interessamento delle mucose (orale, oculare, genitale), quando presente, è di gravità variabile. La mucosa orale è frequentemente coinvolta presentando bolle che aprendosi esitano in erosioni e croste 29. In base al numero delle mucose interessate si distinguono una forma major (se sono coinvolte almeno due sedi) e una forma minor (se è coinvolta una o nessuna sede) 31. Quando l’interessamento delle mucose è severo ed esteso, l’eritema multiforme può essere confuso con la SJS e la TEN 29. L’esordio delle manifestazioni è improvviso e il decorso è variabile e imprevedibile. Si possono associare sintomi sistemici quali febbricola e malessere generale. Il quadro clinico di norma si autorisolve in 2 o 3 settimane 30. Oltre alle infezioni, molti farmaci (antibiotici, antiepilettici e FANS) possono essere causa di EM, nei bambini più piccoli una causa frequente è rappresentata dalle vaccinazioni 31.
Eruzioni cutanee fisse
Le eruzioni cutanee fisse sono caratterizzate da chiazze, papule o placche dalle dimensioni variabili da 2 a 10 cm, a margini ben delimitati, di forma rotondeggiante o ovalare, di colorito che varia da eritematoso a violaceo. Il paziente può riferire prurito e bruciore locale 32,33. Possono comparire in qualunque sede cutanea o mucosa, compresi labbra e genitali, spesso con un singolo elemento, ma talvolta con elementi multipli in numero che può variare da 2 a diverse decine 24. La reazione compare entro una settimana dalla prima esposizione al farmaco (per lo più antimicrobici, antimicotici, anticonvulsivanti e FANS). Nei pazienti sensibilizzati le manifestazioni si ripresentano, tipicamente nella stessa sede, da 30 minuti a 8 ore dopo la riassunzione del farmaco 21. La fase acuta dura in genere alcuni giorni, le lesioni possono evolvere in vescicole o bolle, possono presentare desquamazione; di solito residuano aree di iperpigmentazione che persistono per mesi o anni 24. Le successive esposizioni allo stesso farmaco possono associarsi a un peggioramento delle manifestazioni cliniche 34. Le eruzioni cutanee fisse sono sotto diagnosticate, spesso confuse con patologie che possono mimarne le caratteristiche cliniche quali l’orticaria, le punture di insetto, la dermatite da contatto, le infezioni da herpes simplex e l’eritema multiforme 24.
Reazioni ritardate
Tra le reazioni ritardate rientrano le SCAR (Severe Cutaneous Allergic Reactions) e la DIES (Drug Induced Enterocolitis Syndrome). Quest’ultima è una rara reazione allergica ritardata a farmaci caratterizzata da una sintomatologia intestinale analoga alla FPIES (Food Induced Enterocolitis Syndrome). Il sintomo maggiore è il vomito (a insorgenza 1-4 ore dopo l’ingestione del farmaco, il più delle volte è causata dalla amoxicillina) e da sintomi minori come pallore, letargia ipotensione, ipotermia, neutrofilia, diarrea a insorgenza tardiva. Descritti finora solo pochi casi in età pediatrica 35.
Pustolosi acuta esantematica generalizzata (Acute Generalized Exanthematous Pustulosis, AGEP)
Descritta per la prima volta nel 1968 36, l’AGEP è una patologia molto rara, con un’incidenza complessiva di 1-5 casi per milione di abitanti all’anno. In età pediatrica è riportata un’incidenza di circa 1 caso su 1 milione con età d’esordio variabile dalla prima infanzia fino all’adolescenza; solitamente è auto-limitantesi 37. I farmaci principalmente coinvolti sono gli antibiotici, in particolar modo beta-lattamici, chinolonici, macrolidi e sulfamidici, più raramente antiepilettici (ad es. carmabazepina), idrossiclorochina e paracetamolo 38. Come fattori scatenanti, soprattutto in età pediatrica, sono spesso riportate cause infettive come infezioni da streptococco, micoplasma, EBV, CMV e parvovirus B19. Il quadro clinico cutaneo solitamente compare dopo circa 48 ore dall’esposizione al farmaco trigger e si caratterizza per piccole pustole puntiformi con eritema sottostante che solitamente coinvolgono le flessure degli arti, ma possono localizzarsi a volto, tronco e arti. Il prurito è spesso presente mentre il coinvolgimento delle mucose non è comune e, quando presente, è lieve e limitato alla mucosa orale 39. Altri aspetti clinici includono febbre, malessere e neutrofilia. Sebbene riportato in letteratura, è molto raro in età pediatrica un coinvolgimento sistemico epatico, polmonare o renale 36. La risoluzione delle lesioni avviene entro 1-2 settimane dalla sospensione del farmaco trigger e spesso esita con desquamazione cutanea. La diagnosi di AGEP è clinica e solo in alcuni casi è necessario eseguire una biopsia cutanea per confermare o escludere altre ipotesi diagnostiche. Le caratteristiche istopatologiche rilevabili alla biopsia includono infiltrati neutrofili ed eosinofili e pustole subcorneali, intracorneali o intra-epidermiche 29. Nella diagnosi differenziale vanno valutate la psoriasi, l’eczema impetiginizzato, la scarlattina e altre SCAR come DRESS e SJS 36. Un aiuto per la diagnosi è rappresentato dai criteri formulati dell’Euro SCAR group, basati su morfologia delle lesioni cutanee, andamento clinico e caratteristiche istopatologiche; vengono così identificati pazienti con diagnosi certa, possibile, probabile o in cui l’AGEP è da escludere (Tab. II) 40. Tuttavia questi criteri non sono validati per l’età pediatrica e inoltre la biopsia cutanea viene eseguita raramente nei bambini. Quando il trigger è determinato da un farmaco di solito è sufficiente la sospensione della terapia: trattamenti con corticosteroidi sistemici non sono solitamente necessari 41.
Sindrome di Steven-Johnson/Necrolisi Epidermica Tossica (SJS/TEN)
Patologia immunomediata solitamente indotta da farmaci, grave e potenzialmente mortale con elevato impatto socio-sanitario per il paziente e la sua famiglia. L’incidenza è di circa 1-5 casi per milione di persone 42. SJS e TEN sono considerate quadri clinici di diversa gravità della stessa patologia, in relazione alla percentuale di superficie cutanea corporea coinvolta dalle lesioni: nella SJS l’area cutanea coinvolta è < 10%, nella TEN > 30%; tra il 10 e il 30% si parla si sovrapposizione di SJS e TEN. Dal punto di vista clinico, 1-7 giorni prima del coinvolgimento cutaneo il paziente può presentare febbre, disfagia e prurito oculare. Le lesioni cutanee, una volta insorte, sono dolorose, inizialmente caratterizzate da chiazze eritematose tondeggianti a margini poco definiti; alcuni elementi di diametro maggiore possono presentare il centro più scuro. Spesso assumono un aspetto a bersaglio per poi confluire in grosse vescicole flaccide che si rompono in 1-3 giorni. Sono coinvolti anche i palmi delle mani e dei piedi. Il segno di Nikolski è solitamente positivo. Il quadro cutaneo si associa spesso a coinvolgimento sistemico multi organo. Si hanno spesso (in circa il 90% dei pazienti) alterazioni ematologiche, oculari e del tratto genito-urinario, più raramente il sistema respiratorio e gastrointestinale, con lesioni a carattere necrotizzante 43. Le lesioni del cavo orale si presentano come erosioni dolorose, rivestite da pseudomembrane biancastre, sulle labbra possono comparire lesioni crostose siero-ematiche. L’occhio è coinvolto in circa l’85% dei casi con iperemia congiuntivale, edema delle palpebre e fotofobia 44. L’ampio scollamento dell’epidermide favorisce le infezioni cutanee, la sepsi, l’alterazione dell’equilibrio idroelettrolitico, fino allo shock emodinamico e all’edema polmonare. Il tasso di mortalità è dell’1-5% nella SJS e del 25-30% nella TEN, ma può anche raggiungere il 50% in pazienti fragili con patologie preesistenti. Per l’età pediatrica è riportata in letteratura una maggiore mortalità tra 0-5 anni e nei bambini con TEN 45. La morbilità a breve termine della SJS/TEN include la mucosite, le complicazioni respiratorie, gastrointestinali, genito-urinarie, oculari e la sepsi. Nel lungo termine possono esitare danni permanenti come riduzione o perdita della vista, esiti atrofico-cicatriziali a livello esofageo, bronchiale e genito-urinario, depressione, alterazioni cutanee in zone esposte. I farmaci sono la prima causa di SJS/TEN e sono oltre 100 quelli individuati come causali; nel bambino i più frequenti sono gli anticonvulsivanti (fenobarbital, lamotrigina, carbamazepina) seguiti dagli antibiotici (in particolar modo sulfonamidi, beta-lattamici, trimetoprim-sulfametossazolo, azitromicina), FANS, paracetamolo e chemioterapici 44,46. Nel sospetto di una SJS/TEN nell’anamnesi vanno segnalati i farmaci utilizzati dal paziente fino a 8 settimane prima delle manifestazioni cliniche, anche se nella maggior parte dei casi questi vengono assunti nelle due settimane precedenti l’esordio dei sintomi. Un aiuto per definire la probabilità che un farmaco possa essere la causa di questa patologia è rappresentato dal punteggio ALDEN (Tab. II) 47. Altre cause di SJS/TEN sono agenti infettivi (ad es. micoplasma, virus influenzali, EBV, HSV 6, HSV 7, parvovirus, adenovirus e coxsackie), prodotti chimici industriali. Nel 20% dei casi la causa rimane sconosciuta (forme idiopatiche): la patologia può essere ricorrente in alcuni bambini 48. La diagnosi della SJS/TEN è clinica e solo in alcuni casi è necessario eseguire una biopsia cutanea. Nel bambino la diagnosi differenziale va fatta con DRESS e SCAR, EMP, EM e la Staphylococcal scalded skin syndrome 49. La gravità della patologia può essere valutata con un sistema a punti detto SCORTEN, validato per l’adulto, che correla con la mortalità 50. I pazienti affetti vengono gestiti in centri specializzati ed è spesso necessario ricorrere alla terapia intensiva. Oltre alla sospensione del farmaco trigger, occorre monitorare i parametri vitali, mantenere l’ambiente asettico, controllare l’equilibrio elettrolitico, controllare il dolore e a volte ricorrere alla nutrizione parenterale. Sono consigliate medicazioni locali con materiali permeabili, non aderenti. Possono essere utilizzati corticosteroidi ad alte dosi (da iniziare nei primi stadi della malattia), Ig EV, ciclosporina, plasmaferesi: inibitori del TNF-alfa (ad es. infliximab) possono essere utili in casi particolari 48.
DRESS o DHIS (Drug Induced Hypersensitivity Reaction)
Grave e potenzialmente fatale reazione di ipersensibilità a farmaci, in cui è presente coinvolgimento sia cutaneo che viscerale. È rara, con incidenza che varia da 1 su 1.000 a 1 su 10.000 esposizioni al farmaco 51. Può comparire a qualunque età, anche se è più frequente in età adulta (età media alla diagnosi di 8,7 anni) 51,52. La mortalità, generalmente correlata a insufficienza epatica, è nel bambino (5,4%) simile all’adulto (5,2%) 51,53. I farmaci più comunemente responsabili in età pediatrica sono gli antiepilettici aromatici (carbamazepina, fenitoina, fenobarbital, lamotrigina), seguiti dagli antibiotici (più frequentemente vancomicina e sulfamidici) e più raramente da FANS e sulfalazina 51. Il tempo tra inizio del trattamento e insorgenza dei sintomi varia da 2 a 6 settimane, ma sono descritti periodi di latenza fino a 105 giorni 54. Si ritiene che la DRESS sia il risultato di una complessa interazione tra fattori genetici [predisposizione etnica in popolazioni con specifici alleli HLA come ad esempio HLA A*31:01 (carbamazepine-induced DRESS nella popolazione cinese e giapponese), HLA-A*32:01 (vancomycin-induced DRESS nella popolazione caucasica), HLA-B*58:01 (allopurinol-induced DRESS nella popolazione cinese e giapponese)], risposta immunologica, anomalie metaboliche (carenza o anomalie dell’epossido-idrossilasi, enzima che detossifica i metaboliti degli anticonvulsivanti aromatici) e riattivazione di virus herpetici (HHV-6, HHV-7, EBV e CMV) 54.
La presentazione clinica più comune della DRESS pediatrica include febbre, rash cutaneo, linfoadenopatia, eosinofilia e aumento delle transaminasi. Il rash cutaneo, presente nella quasi totalità dei pazienti (99%), è più spesso di tipo maculo-papulare o morbilliforme, con o senza prurito, e solitamente concomita o precede altri sintomi, quali la febbre, solitamente elevata (38-40°C) e presente nel 96% dei pazienti, e il malessere 51. Il rash solitamente è molto esteso, interessando più del 50% della superficie corporea fino all’eritrodermia, e spesso è associato a edema facciale (51% dei casi). Anche se l’eruzione maculo-papulare morbilliforme è la manifestazione cutanea iniziale più comune (89% dei casi), sono descritte altre eruzioni del tipo a bersaglio, orticarioidi, pustolose, vescicolose, lichenoidi, esfoliative ed eczematose. L’eruzione può persistere per mesi dopo la sospensione del farmaco responsabile. Il coinvolgimento delle mucose, in particolare quella orale e congiuntivale, è comune nella DRESS pediatrica, ma più lieve e meno ulcerativa rispetto alla SJS/TEN 55. La linfadenopatia è presente nel 74,6% dei pazienti 51. Anomalie ematologiche, in particolare eosinofilia (90% dei casi), ma anche leucocitosi, linfocitosi atipica, trombocitopenia e agranulocitosi sono comuni nella DRESS. Il fegato è l’organo interno più frequentemente coinvolto (80% dei casi) con segni di citolisi e/o colestasi (aumento > 2 volte il valore normale delle AST, ALT, bilirubina coniugata, fosfatasi alcalina). In alcuni pazienti le lesioni epatiche possono progredire fino a necrosi diffusa con insufficienza epatica fulminante, principale causa di morte in questi pazienti. Meno frequenti sono nefrite, polmonite, colite, pancreatite, miocardite, artrite 54. Il trattamento prevede la sospensione del farmaco sospetto con o senza l’aggiunta di steroidi sistemici, IVIG, plasmaferesi, ganciclovir o terapie combinate 51. Anche dopo la sospensione del farmaco il decorso è prolungato e le riacutizzazioni sono comuni; ciò è correlato alla riattivazione di virus erpetici (HHV 6 e 7, EBV, CMV), comunemente rilevabile nella DRESS 28. Un’alta carica virale e alti titoli anticorpali sono associati a un decorso più prolungato, a un più esteso coinvolgimento sistemico e a una peggiore prognosi 52. La presentazione clinica aspecifica rende spesso difficile la diagnosi di DRESS, ancor più in età pediatrica, in cui la diagnosi differenziale è ulteriormente complicata dalla maggiore prevalenza di infezioni e di situazioni cliniche che possono mimare una DRESS, come malattia di Kawasaki, linfoma e sindrome muco cutanea febbrile. Per porre diagnosi di DRESS sono stati proposti vari criteri: i più usati sono quelli SCAR del gruppo giapponese (SCAR-J) e quelli SCAR del Registro Europeo (Regi-SCAR) (Tab. II) 56-58. A differenza del J-SCAR, il Regi-SCAR non include tra i criteri diagnostici la riattivazione dell’HHV-6. Dal confronto dei due criteri si evidenzia che DRESS e DIHS non sono entità distinte, ma fanno parte dello stesso spettro di malattia, e che il J-SCAR probabilmente identifica un paziente con coinvolgimento più grave 52. Sequele a lungo termine, a distanza di 1-24 mesi dallo sviluppo della DRESS, si verificano nel 10,8% dei casi e sono più spesso rappresentate da ipotiroidismo, diabete e insufficienza epatica 51.
Diagnostica
Antibiotici
Sono tra i farmaci più prescritti nel bambino e quelli per i quali più frequentemente vengono riportate reazioni avverse o di ipersensibilità.
- Beta-lattamici (BL). Questi farmaci strutturalmente condividono l’anello beta-lattamico centrale e differiscono tra loro per le catene laterali. Negli ultimi dieci anni, il ruolo delle catene laterali come determinanti antigenici è stato ampiamente valorizzato in particolare nelle reazioni di ipersensibilità ad amoxicillina e cefalosporine 59,60. L’iter diagnostico parte dall’analisi della storia clinica del paziente comprendente tipo di reazione, tempo intercorso tra esposizione al farmaco e sviluppo dei sintomi e intervallo di tempo intercorso tra le manifestazioni cliniche e l’avvio del work-up diagnostico. In caso di reazioni immediate gli strumenti diagnostici a disposizione comprendono i test cutanei (prick test e intradermoreazione a lettura immediata), i test in vitro (ricerca IgE specifiche e test di attivazione dei basofili) e il test di provocazione (TPO). Il pannello dei reagenti da testare comprende i determinanti maggiori e minori della penicillina (PPL, MDM), amoxicillina e un eventuale altro BL sospetto 61-63. Recenti studi hanno evidenziato anche l’importanza dell’acido clavulanico rendendo utile testare anche questa molecola 62. Le concentrazioni non irritanti indicate per il prick-test (SPT) e l’intradermo (ID) sono in Tabella III 61. L’algoritmo diagnostico consigliato parte dall’esecuzione dei test cutanei (SPT e, successivamente, se questi negativi, la ID a lettura rapida, dopo 20’) 62. In caso di anafilassi è importante utilizzare concentrazioni maggiormente diluite dei reagenti 62. I test cutanei sono dotati di un valore diagnostico relativamente elevato nelle reazioni immediate anche se il valore predittivo positivo non è chiaramente determinato. La percentuale di pazienti con storia di allergia ai BL che risultano positivi ai test cutanei varia dal 7 al 76% 64. I principali test in vitro per le reazioni immediate a BL sono il dosaggio delle IgE specifiche (IgEs) che sono commercializzati per amoxicillina, ampicillina, penicilloyl G e V, cefaclor, e il test di attivazione dei basofili (BAT). I test in vitro presentano buona specificità, ma bassa sensibilità: le IgE specifiche hanno una sensibilità più bassa dei test cutanei (12,5-25%) con buona specificità (83-100%), mentre il BAT (in cui si valuta l’espressione di CD63 e/o di CD203c nei basofili incubati in vitro con il farmaco sospetto) presenta una sensibilità attorno al 50% e una specificità tra l’89 e il 97%. A dimostrazione delle parziali limitazioni dei test in vivo e in vitro, recenti studi europei riportano che una percentuale tra l’8,4 e il 30,7% dei pazienti risultati negativi a questi test reagisce al TPO 64. I test in vitro vanno eseguiti in prima battuta in caso di reazione immediata severa, con lo scopo di provare a ridurre il rischio di reazione immediate durante i test cutanei. Nelle anafilassi può essere utile il dosaggio della triptasi in acuto per avere un dato laboratoristico che possa affiancarsi alla valutazione clinica nel confermare la diagnosi. La capacità di individuare una sensibilizzazione IgE mediata decresce nel tempo sia per i test cutanei che per i test in vitro per cui è consigliabile intraprendere l’iter diagnostico dopo un intervallo temporale di 3-6 settimane dalla reazione 61. La combinazione tra SPT, ID, test in vitro e test di provocazione (TPO) è in grado di diagnosticare il 90% delle reazioni allergiche ai BL 64. In caso di negatività si esegue il test di provocazione, preferendo la via orale (TpO). In caso di anafilassi, per fare il TPO va valutato il rapporto rischio/beneficio: il farmaco sarà necessario in futuro? Quali alternative? Sebbene non vi sia accordo su dosi e intervalli ottimali tra le dosi, solitamente si inizia con 1/100 o 1/10 (ma anche 1/1.000 o 1/10.000 nelle reazioni severe) della singola dose terapeutica, con dosi crescenti ogni 30-60’ fino a raggiungere la dose singola terapeutica completa 62. In caso di reazioni ritardate, i test in vivo utilizzabili sono l’ID a lettura ritardata (dopo 48 e 72h) e il patch test (effettuati utilizzando una diluizione del farmaco in petrolatum variabile tra il 10 e il 30%), anch’esso letto a 48-72h dall’applicazione. Il valore diagnostico di questi test è in generale scarso, sia per una carente standardizzazione in età pediatrica che per la loro bassa sensibilità (circa 2-10%) 62. In associazione a questi test sono state proposte metodiche come l’Enzyme-linked Immuno SPOT (ELI Spot) test e il test di trasformazione linfocitaria (LTT) che richiedono ancora la validazione. Alcune ricerche riportano una sensibilità del LLT del 56% in adulti con ancora limitate evidenze in età pediatrica 62. Il TPO nelle reazioni ritardate è quasi sempre necessario e in caso di MPE lieve non complicato nei bambini può essere effettuato direttamente senza eseguire i test cutanei. Molti studi mostrano che il TPO è sicuro e attendibile, anche ricorrendo alla somministrazione della singola dose terapeutica senza frazionarla; alcuni autori suggeriscono di continuare la somministrazione per i successivi 5 giorni per migliorare la performance diagnostica del test e la convinzione della famiglia che il farmaco possa essere tollerato 61,65. In caso di SCAR, è raccomandato di eseguire prima il patch test (a distanza di 6 mesi dalla reazione) e solo in caso di risposta negativa proseguire con il test intradermico alla massima diluizione. Il test di provocazione è controindicato 62.
- Tra gli antibiotici non beta-lattamici in età pediatrica i sulfamidici e i macrolidi sono i farmaci più frequentemente causa di ipersensibilità 66. Tra i macrolidi uno studio ha dimostrato come in età pediatrica l’azitromicina sia più allergenica della claritromicina 67. Per questi farmaci l’utilità dei test cutanei è controversa, con una sensibilità che varia a seconda delle casistiche dallo 0 al 75%. Sulla base di questi dati la letteratura suggerisce che i test cutanei dovrebbero essere limitati ai pazienti che descrivono reazioni severe o a quelli con storia clinica non chiara; tutti gli altri pazienti potrebbero procedere al TPO tralasciando i test cutanei 66,68. I sulfamidici sono più comunemente associati a MCAR come l’EMP, ma possono essere anche responsabili di SCAR. Per la valutazione della ipersensibilità ritardata può essere utile il ricorso all’ID a lettura ritardata e al patch test, che paiono essere associati a bassa sensibilità ma ad accettabile specificità: è stato proposto anche il LTT. Il TPO rimane il gold standard anche per la diagnosi di ipersensibilità ai sulfamidici 69. La vancomicina, glicopetide molto usato in età pediatrica, determina più frequentemente una reazione da infusione chiamata “sindrome dell’uomo rosso” la cui severità può variare dalla comparsa di rush e prurito al broncospasmo fino all’ipotensione. Questa sindrome pare legata a una pseudo allergia determinata dall’attivazione diretta da parte del farmaco del recettore MRGPR X2. Le reazioni IgE mediate a vancomicina sono rare e i test cutanei possono determinare molti falsi positivi 70. Per tale motivo il rallentamento della velocità di somministrazione in caso di reazioni levi moderate e la desensibilizzazione in caso di reazioni gravi sono le metodiche preferite per la gestione di questi pazienti 71. Le reazioni allergiche IgE mediate e ritardate da aminoglicosidi sono rare. La dermatite da contatto da aminoglicosidi topici è la manifestazione clinica più frequente, poiché la neomicina e anche la gentamicina e la tobramicina sono ampiamente utilizzate come creme, unguenti, colliri o gocce topiche auricolari. Per la valutazione di queste reazioni il patch test può essere utile 72.
Farmaci perioperatori
In età pediatrica l’incidenza delle reazioni anafilattiche da farmaci perioperatori è inferiore rispetto all’età adulta, con incidenze variabili in relazione alla casistica considerata. In un recente report del Wake-Up Safe Database (USA) viene riportata un’incidenza di 1:37.000 mentre nel Regno Unito viene riportata un’incidenza di 2.7:100.000 dal Sixth National Audit Project (NAP6) 73,74. Le sostanze responsabili variano in relazione alle casistiche; sono più frequentemente interessati antibiotici, miorilassanti, ipnotici, latice. Dato il numero di farmaci utilizzati durante un intervento chirurgico, la diagnosi di questo tipo di reazioni richiede spesso un lungo percorso diagnostico che va effettuato in centri con esperienza dedicata. Molto importante è la tempistica della valutazione, da effettuarsi non prima di 4-6 settimane dalla risoluzione del quadro clinico e non oltre i 6 mesi dalla reazione 75. Nella diagnostica l’anamnesi rimane un momento fondamentale e spesso è utile un confronto con l’anestesista presente in sala operatoria con lettura condivisa della cartella anestesiologica. È importante che nella cartella sia inserita una scheda dedicata che riporta i dati clinici, il timing e la gravità della reazione, l’elenco dei farmaci somministrati (tempistica, dosaggio, formulazione, marca) compresi quelli utilizzati per la gestione della reazione, poiché per ogni tipologia di farmaco sono indicati specifici test. L’analisi della tempistica (fase induzione, intraoperatoria, fine intervento/recovery) della reazione osservata può aiutare nell’identificazione del farmaco responsabile 76.
Sverrild et al. 77 hanno di recente pubblicato un algoritmo diagnostico basato sulla positività di tre principali criteri diagnostici: aumento della triptasi sierica, coinvolgimento di almeno due organi/sistemi, presentazione con orticaria o angioedema di nuova insorgenza. Questo algoritmo, validato su 293 pazienti, ha dimostrato elevata sensibilità (98,8%) ma modesta specificità (34,6%) nell’individuare i soggetti positivi ai prick-test o al dosaggio delle IgE specifiche. Un aumento significativo della specificità è stato osservato con la combinazione tra sintomi respiratori e aumento della triptasi (89,8%). In caso di sospetta reazione da ipersensibilità è sempre opportuno effettuare il dosaggio della triptasi sierica (entro 30 minuti e 2 ore dall’inizio della reazione e a distanza di 24 ore), cosa che nella pratica viene spesso dimenticata o effettuata in modo incompleto. I test cutanei rappresentano il primo step e consistono in prick-test e test intradermici per i diversi farmaci impiegati, prestando attenzione a utilizzare concentrazioni non irritanti (Tab. II). Per alcune tipologie di farmaci è possibile effettuare il dosaggio delle IgE specifiche e il test di attivazione dei basofili. A completamento del percorso, e solo per alcuni farmaci, può essere necessario un test di provocazione che, data la tipologia dei farmaci utilizzati, deve essere effettuato in ambiente protetto sotto stretta sorveglianza. Le principali categorie di sostanze da testare sono le seguenti:
- miorilassanti (Neuro Muscholar Blocking Agents (NMBA)). Sono riportati casi di sensibilizzazione ai miorilassanti anche in pazienti non precedentemente esposti, per la presenza di molecole a struttura analoga in cosmetici, disinfettanti, alimenti e farmaci come la folcodina. I test cutanei per miorilassanti hanno ottima sensibilità e specificità (intorno al 100%), con positività persistenti anche a distanza di diversi anni dalla reazione. Per alcuni miorilassanti può essere effettuato il dosaggio delle IgE specifiche. Il BAT per i miorilassanti risulta potenzialmente utile, con sensibilità del 64-85,7% e specificità del 93-97% 78;
- oppioidi. Sono raramente causa di una vera reazione allergica perioperatoria (2%). Le reazioni avverse alla morfina sono spesso PAR. Nausea e vomito sono frequenti effetti collaterali che non vanno confusi con reazioni allergiche. Altri oppiodi utilizzabilii sono semisintetici (ad es. fentanil, sufentanil, remifentanil) che non cross-reagiscono con la morfina. Essendo farmaci sostituibili con difficoltà, la positività ai test allergologici, anche se rara, determina importanti problemi gestionali in caso di futuri interventi;
- ipnotici. Si distinguono in barbiturici (ad es. tiopentale) e non barbiturici (ad es. etomidato, ketamina, propofol). Il più utilizzato è il propofol, commercializzato come emulsione olio-acqua. La presenza di soia e di lecitina dell’uovo nella preparazione ha fatto ritenere che il propofol non sia indicato in caso di allergia a tali alimenti, eventualità senza evidenze scientifiche 79;
- anestetici locali. Le vere reazioni da ipersensibilità ad anestetici locali sono estremamente rare; la maggior parte delle reazioni riportate sono legate a effetti collaterali, sovradosaggio, iniezione in circolo, crisi vaso-vagali. Vanno eseguiti i prick-test con il preparato commerciale senza adrenalina e, se negativo, si procede con il test intradermico (iniziando dalla soluzione diluita a 1/100 e 1/10) ed eventualmente con il test di provocazione, che consiste in progressive iniezioni sottocutanee di 0,1 ml di anestetico diluito a 1/10, seguito ogni 30 minuti da iniezioni di 0,1 ml, 1 ml e 2 ml del prodotto non diluito 80;
- altri allergeni. Durante una seduta operatoria il paziente può essere esposto anche a sostanze diverse dai farmaci come disinfettanti, latice, anticoagulanti, antibiotici, destrano. Tali sostanze vanno tenute in considerazione come possibile causa di reazione allergica.
Biologici
In età pediatrica i biologici più utilizzati sono anticorpi monocolonali. Nonostante il progressivo incremento di sequenze umane nella struttura dei biologici, la loro immunogenicità legata a componenti non-umane non è azzerata. I biologici possono indurre reazioni da ipersensibilità umorali o cellulo-mediate, e reazioni legate agli eccipienti presenti nella formulazione. Tali sostanze sono polisobarto 20 (omalizumab e benralizumab), polisorbato 80 (dupilumab, adalimumab, infliximab, canakinumab, anakinra), mannitolo (adalimumab, basiliximab, palivizumab, eternacept), saccarosio (mepolizumab, eternacept, reslizumab, ustekinumab), trometamolo (etanercept) 81. La clinica delle reazioni di ipersensibilità ad amAb presenta diverse peculiarità. Le reazioni immediate ai biologici includono, oltre alle reazioni IgE mediate e PAR, anche quelle legate al rilascio di citochine come le Infusion-Related Reactions (IRR) e le Cytokine Release Reactions (CRR) o quelle mediate da altri meccanismi (ad es. apoptosi delle cellule targets con rilascio di citochine; reazioni da citotossicità). Esistono anche delle reazioni “miste” dove sono coinvolti sia le IgE che il rilascio di citochine (in particolare IL-6) 82. Quindi, oltre ai sintomi evocativi di reazioni IgE mediate (ad es. orticaria, angioedema, anafilassi), è possibile riscontrare l’associazione con sintomi neuromuscolari o febbre. Nella diagnostica, dopo un’accurata anamnesi che guida tutto il percorso diagnostico, tenendo conto che gli anticorpi monoclonali possono differire per quanto riguarda il numero di infusioni necessarie per determinare la reazione, vanno attuati i seguenti step:
- test cutanei. Nel caso si sospetti una reazione immediata, il primo step consiste nell’esecuzione di test cutanei (SPT e ID a lettura immediata) che andrebbero condotti dopo 4-6 settimane dalla reazione. Le concentrazioni non irritanti da utilizzare, non ancora standardizzate in età pediatrica, sono riportate in Tabella III e sono riferite alla diagnostica degli adulti. Per le reazioni ritardate si utilizzano l’ID a lettura ritardata (a 24-72 ore) e il patch test, anche se a oggi il suo uso non è descritto in letteratura, pertanto la sua utilità non è nota. Nel futuro per ragioni pratiche ed economiche andrebbero allestite piccole aliquote di farmaco destinate specificamente alla diagnostica allergologica, in modo da non sprecare l’intera fiala;
- test in vitro. Per la diagnostica delle reazioni ai biologici hanno maggiore sensibilità e specificità rispetto ai test in vivo. Il BAT è oggetto di studio e sembra essere utile soprattutto per chiarire il meccanismo immunologico sottostante le reazioni immediate. Tuttavia, una standardizzazione della metodica è necessaria prima che sia inserito come indagine di routine. Il dosaggio in acuto della triptasi è molto informativo. Il dosaggio dell’IL-6 è considerato un test utile come biomarker per identificare le CRR e un valore di 40 volte il basale è considerato un cut-off limite per identificare le reazioni scatenate da un massivo rilascio di citochine. Il dosaggio di anticorpi anti-farmaco è utilizzato per predire e diagnosticare le reazioni ai biologici in modo da indentificare la potenziale reattività e la perdita di efficacia del farmaco stesso. I biologici possono indurre la formazione di anticorpi anti-farmaco IgE (ad es. cetuximab), ma anche di isotipo diverso come le IgG per infliximab. Coloro che hanno titoli più alti di anticorpi anti-farmaco presentano anche un rischio maggiore di reazioni da ipersensibilità rispetto a coloro in cui si ha solo una ridotta efficacia del farmaco. Negli adulti, nel 56,6% dei casi sono stati riscontrati anticorpi anti-farmaco tra coloro che avevano reazioni da ipersensibilità a infliximab e solo il 20% erano IgE. Questo spiegherebbe perché fino a un 44% dei pazienti che hanno reazioni da ipersensibilità immediata ai biologici mediate da anticorpi anti-farmaco hanno test cutanei negativi. In fase acuta manca spesso l’aumento della triptasi serica, cosa che induce a considerare il coinvolgimento di meccanismi immunitari diversi dalla reazione IgE mediata, come l’attivazione del complemento;
- test di provocazione. La somministrazione controllata del farmaco in causa nel caso dei biologici non è scevra da rischi e va attuata dopo una attenta valutazione dei rischi-benefici per il paziente. Il test di provocazione è destinato ai casi in cui la storia clinica è suggestiva per una reazione lieve o in caso di storia non chiara con test cutanei negativi. Si può utilizzare anche per testare farmaci non cross-reattivi anche se nel caso dei biologici i dati sulla cross-reattività sono carenti. Solo uno studio su adulti ha descritto il test di provocazione con farmaci biologici dimostrando che nel 78% dei casi è stata esclusa la presenza di ipersensibilità e che il 49% dei pazienti erano stati sottoposti al test per storia non chiara di reazione. Il test di provocazione dovrebbe essere effettuato prima di una desensibilizzazione in modo da selezionare coloro che necessitano davvero di questa procedura.
Antiepilettici
Si classificano in base alla struttura chimica in aromatici, se hanno almeno un anello aromatico (lamotrigina, carbamazepina, fenobarbital, fenitoina, oxacarbamazepina, felbamato, zonisamide, primidone) e non aromatici (sodio valproato, topiramato, levetiracetam, clobazam, etosuccimide, gabapentin, pregabalin, vigabatrin). Gli antiepilettici causano spesso reazioni da ipersensibilità cutanee ritardate come l’EMP, e frequentemente insorgono durante l’incremento della dose, in seconda-ottava settimana di inizio della terapia. Più raramente possono essere causa di SCAR. Le reazioni si verificano più frequentemente nei bambini < 12 anni che utilizzano antiepilettici aromatici o diversi farmaci contemporaneamente. Esistono significative associazioni con determinati HLA (vedi sopra).
La diagnosi si basa su anamnesi, ID a lettura tardiva, patch test e TPO 83. ID a lettura ritardata e patch test sono usati in caso di reazione lieve e per escludere la presenza di cross-reattività, che è elevata (40-80% tra gli antiepilettici aromatici). Devono essere effettuati dopo almeno 4 settimane dalla reazione o dall’uso di corticosteroidi. Se la reazione indice è stata grave si preferisce eseguire solo i patch test per diminuire il rischio di scatenare reazioni gravi. Le concentrazioni da usare per l’ID non sono standardizzate, mentre per i patch test si usano concentrazioni al 10% in vasellina per le sostanze pure e al 20-30% con i farmaci commercializzati (ad es. per la carbamazepina) (Tab. III). La sensibilità dei patch test dipende dal farmaco testato ed è maggiore per la carbamazepina. Poter testare oltre alla molecola pura anche i suoi metaboliti renderebbe di sicuro più sensibile la metodica del patch test. Tra gli esami di laboratorio in fase acuta possono essere ricercati potenziali agenti infettivi (soprattutto virus), eventuali alterazioni nella funzionalità di fegato, rene, pancreas o alterazioni ematologiche. Possono essere effettuati test in vitro di natura allergologica come il LTT, la determinazione delle citochine dosate con l’Elispot o della granulisina in citofluorimetria. Il test LTT sembra essere più sensibile se eseguito in fase acuta per SJS/TEN, mentre se eseguito in fase di risoluzione per reazioni tipo la DRESS. Nella popolazione pediatrica il LTT sembra avere una sensibilità del 58,4% con una specificità del 95,8%. Nella SJS/TEN la sensibilità varia dal 37 all’86% e la specificità dall’86 al 100%. Combinare le varie metodiche in vitro e in vivo sembrerebbe aumentare la sensibilità diagnostica per le reazioni ad antiepilettici. Il test di provocazione orale deve essere eseguito in casi selezionati di reazioni lievi e, siccome siamo di fronte a reazioni ritardate, 1/10 della dose totale può essere somministrato e in assenza di reazioni dopo 1-7 giorni, o in base all’intervallo della reazione indice, può essere assunta la restante dose. In caso di SCARs il TPO non deve essere eseguito.
Antinfiammatori non steroidei
Sono tra i farmaci più prescritti in età pediatrica per febbre, dolore e per la loro attività antinfiammatoria: il capostipite è l’aspirina. Le reazioni da ipersensibilità a FANS in età pediatrica necessitano di ulteriori studi in quanto diversi aspetti di queste reazioni devono essere chiariti come il loro metabolismo nel bambino, la storia naturale dei vari fenotipi delle reazioni da ipersensibilità, l’importanza di cofattori come infezioni o sforzo fisico, la mancanza di marker clinici e laboratoristici che aiutino a definire gli endotipi. I FANS comprendono farmaci strutturalmente diversi accomunati dalla capacità di inibire gli isoenzimi dalla ciclossigenasi (COX-I; COX-II; COX-III) 22. La conferma diagnostica di ipersensibilità a FANS si aggira intorno al 20% dei casi, nonostante questi farmaci (soprattutto ibuprofene) siano responsabili di circa il 40% delle anafilassi da farmaci. Le reazioni da ipersensibilità ad antinfiammatori si dividono in due categorie: reazioni selettive di tipo immuno-allergico (SR) e cross-reazioni (cross-intolerant: CI), di tipo enzimatico e derivanti dalla inibizione della COX 1, cosa che determina la maggiore attivazione delle lipossigenasi con produzione di sostanze attive su mastociti ed eosinofili. Non essendo approvati in età pediatrica gli inibitori selettivi della COX 2, tutti i FANS utilizzabili nel bambino agiscono sia su COX 1 che su COX 2 tranne l’aspirina, inibitore selettivo della COX 1. Le SR a FANS possono essere divise, come per altri farmaci, in reazioni da ipersensibilità immediata o ritardata. Diverso è il discorso per le CR: secondo il recente Position Paper dell’EAACI in età pediatrica queste reazioni possono essere classificate diversamente a seconda dell’età, distinguendo i bambini < 10 anni e quelli di età superiore. I soggetti con CI tra 0 e 10 anni presentano reazioni cutanee contemporaneamente alle respiratorie. Nei bambini > 10 anni le CI sono classificate in 3 gruppi: nel primo il farmaco può determinare l’insorgenza immediata di orticaria o anafilassi (Non Steroidal Antinflammatory Induced Urticaria Angioedema Anaphylaxis, NIUAA), nel secondo il farmaco determina una esacerbazione di una orticaria preesistente (Non Steroidal Antinflammatory Exacerbated Cutaneous Disease, NECD) e nel terzo il farmaco determina una esacerbazione di una patologia respiratoria preesistente che nel bambino è rappresentata soprattutto dall’asma (Non Steroidal Antinflammatory Exacerbated Respiratory Disease, NERD). Recentemente è stato definito un nuovo fenotipo clinico: i soggetti che hanno reazioni selettive a più antinfiammatori ma tollerano l’aspirina sono stati definiti come multiple selective immediate reactors.
Nella diagnostica l’anamnesi assume un ruolo fondamentale per stabilire il work-up diagnostico. Chiarire le caratteristiche cliniche, la latenza temporale, i cofattori, la risposta al trattamento e gli accessi all’ospedale è fondamentale, ma soprattutto va chiarito se il bambino ha presentato reazioni a più di un FANS, cosa che è indicativa per CI, così come chiarire se ci sono FANS tollerati. Infine va chiesto se esiste storia personale di atopia, rinite allergica, asma, orticaria.
I test diagnostici dovrebbero essere eseguiti dopo 4-6 settimane dalla reazione. Skin prick-test e ID sono poco utili in quanto non standardizzati e con molti falsi negativi. Per le reazioni ritardate possono essere impiegati i patch test e l’ID a lettura ritardata, ma anche in questo caso non vi sono dati di sensibilità e specificità né nell’adulto né nel bambino. Il TPO rappresenta quindi il test diagnostico per eccellenza. Nei soggetti con rinite o asma è necessario che sia eseguito monitorando anche la funzionalità respiratoria. Il test inizia in genere con 1/4-1/20 della dose calcolata per peso ed età del paziente in modo da raggiungere la dose totale in 4-5 dosi somministrate a intervalli di 1-1,5 ore. Se la storia di reazione è immediata gli intervalli tra le dosi possono essere ridotti a 20-30 minuti. Un tempo di osservazione successivo di 2-6 ore è in genere sufficiente in un protocollo che si basa sull’intervallo anamnestico assunzione farmaco-reazione e che prevede la somministrazione della dose in singola giornata 22. Il TPO non viene eseguito in caso di anafilassi o reazioni gravi ritardate a farmaci. Il valore predittivo negativo del test di provocazione in età pediatrica è del 100% per il paracetamolo e del 94% per l’ibuprofene. Un test di provocazione positivo per un FANS non discrimina tra CR e CI per cui è necessario un successivo test all’aspirina per definire una cross-intolleranza. Alcuni autori consigliano di considerare di testare prima l’aspirina e poi il FANS sospetto in quanto un TPO positivo crea allarme nei genitori e rende difficile proseguire nell’iter diagnostico 84. La modalità del test di provocazione con aspirina prevede la somministrazione per via orale alla dose di 10 mg/kg/dose in 4-5 step. Alcuni studi pediatrici usano la dose di 15-20 mg/kg/dose in due giorni consecutivi: il primo giorno raggiungendo con dosi incrementali metà della dose totale e il secondo giorno somministrando due dosi in modo da raggiungere la dose totale. I bambini con CI a FANS spesso tollerano il paracetamolo, anche se ci può essere cross-reattività quando il paracetamolo è usato alla dose di 15 mg/kg: una strategia potrebbe essere quella di utilizzarlo a una dose inferiore. In caso di CI la scelta di un antinfiammatorio alternativo non è facile nel bambino in quanto i COX-II inibitori selettivi non sono approvati in bambini < 12-18 anni. Un inibitore preferenziale della COX 2 come la nimesulide è prescrivibile dai 12 anni; l’etoricoxib (COX 2 inibitore specifico) dai 16 anni. La desensibilizzazione si considera solo in caso di mancata alternativa terapeutica.
Desensibilizzazione a farmaci in età pediatrica
La desensibilizzazione consiste nell’induzione di uno stato di temporanea tolleranza a un farmaco noto per essere causa di ipersensibilità in un dato soggetto. Si avvale della somministrazione del farmaco a dosi progressivamente crescenti fino a ottenere la dose cumulativa terapeutica in ore o giorni. La procedura deve essere sempre consigliata ed eseguita in pazienti selezionati, dopo un’attenta valutazione del rapporto rischio/beneficio specifico. Controindicazioni sono asma incontrollato (FEV1 < 70% del predetto), instabilità emodinamica, cardiopatie non controllate, anamnesi di precedente grave reazione come SCAR, vasculiti, reazioni d’organo. In casi specifici come in soggetti con pregressa anafilassi severa o con malattie epatiche o renali la desensibilizzazione può essere considerata solo in situazioni di estrema necessità. La desensibilizzazione è indicata nelle reazioni di ipersensibilità di tipo I e di tipo IV non severe. Costituisce indicazione assoluta nei casi in cui non esiste una valida alternativa terapeutica al farmaco in questione; indicazioni relative riguardano casi in cui il farmaco in questione risulta più efficace rispetto alle alternative esistenti 86. Nella pratica pediatrica le principali situazioni in cui viene eseguita riguardano le seguenti condizioni 87:
- bambini affetti da infezioni croniche severe (ad es. tubercolosi, infezione da HIV, fibrosi cistica);
- bambini con patologie onco-ematologiche e storia di reazione di ipersensibilità a un determinato farmaco non sostituibile;
- bambini con malattie croniche che richiedano l’utilizzo di un determinato FANS o farmaco biologico;
- bambini allergici a vaccini, in cui non esiste un vaccino alternativo privo della componente allergizzante.
La desensibilizzazione, ai fini di una corretta diagnosi, dovrebbe essere preceduta dai test in vivo e in vitro e dal TPO. Tuttavia questo non è necessario se ci si trova in contesti clinici emergenziali dove la ipersensibilità IgE-mediata è fortemente sospetta, ad esempio una reazione immediata durante l’infusione in ambiente medico, ed è richiesto un farmaco non sostituibile.
I protocolli di desensibilizzazione riportati in letteratura sono numerosi ma non standardizzati, spesso riportati in case report e relativi farmaci molto diversi tra loro e adattati al bambino da procedure studiate per gli adulti (differendo solo per i dosaggi). Nelle reazioni immediate (per la maggior parte reazioni IgE-mediate o PAR), la somministrazione del farmaco può essere eseguita sia per bocca che per endovena, senza apparente differenza di efficacia. Tuttavia per i farmaci che possono essere somministrati in entrambe le modalità la via orale è considerata più sicura, semplice ed economica. La premedicazione è di solito praticata, anche se mancano prove che sia protettiva. Inoltre, potrebbe mascherare segni precoci di ipersensibilità e non è chiaro se interferisce con l’efficacia della procedura. I protocolli rapidi prevedono la somministrazione di piccole dosi progressivamente crescenti del farmaco fino ad arrivare alla dose cumulativa terapeutica in un tempo relativamente breve (alcune ore). Le procedure di desensibilizzazione rapida si sono dimostrate efficaci e sicure, comportando un minimo pericolo per il paziente, tuttavia la tolleranza clinica si perde se il farmaco non viene somministrato in modo continuativo. In altri protocolli la somministrazione avviene più lentamente e richiede molte ore. Per spiegare l’efficacia della desensibilizzazione a farmaci sono stati ipotizzati diversi meccanismi. Il più accreditato si basa sul presupposto che la somministrazione di dosi crescenti di allergene a intervalli fissi induca una insensibilità nei mastociti. Questa ipotesi è suffragata da studi sperimentali. In modelli in vitro cellule mastocitarie di midollo osseo del topo sottoposte a dosi crescenti di antigene (dinitrofenile o ovalbumina) presentano ipo-reattività altamente specifica e prolungata all’antigene, con inibizione quasi completa del rilascio di β-esosaminidasi, IL6, TNF-α, del flusso di calcio e del metabolismo dell’acido arachidonico 88. È ipotizzato che le dosi di antigene che si lega alla catena alfa del FcεRI siano subottimali per attivare le vie di trasmissione intracellulari del mastocita, per cui non vengono rilasciati mediatori. Questo può spiegare i minimi rischi per i pazienti dei protocolli rapidi di desensibilizzazione, che sono attualmente utilizzati con successo in molti casi 89-91. Pochi studi riguardano la desensibilizzazione per reazioni ritardate a farmaci, dove i protocolli rapidi hanno alto rischio di fallimento. I pochi protocolli studiati per queste patologie prevedono somministrazioni crescenti di farmaco in un lungo arco di tempo (giorni o settimane). Anche in questi casi la sospensione del farmaco può determinare perdita della tolleranza. Nel 2015 Toker et al. 92 riportano il successo di una desensibilizzazione per acido valproico in un bambino di 13 anni affetto da con reazioni cutanee di tipo ritardato al farmaco. Partendo da una dose di 0,05 mg/die e raddoppiandola ogni due settimane, si è raggiunta la dose target di 400 mg 2 volte al giorno al 29° giorno. In un altro studio condotto da Besag et al. 93 è stata raggiunta la tolleranza senza alcuna reazione nei confronti della lamotrigina in 7 pazienti di età tra 5 e 19 anni che avevano presentato un rash cutaneo ritardato. La dose iniziale di 0,1 mg/die è stata progressivamente incrementata ogni 15 giorni per 12 settimane fino ad arrivare alla dose di 50 mg/die. Pur essendo situazioni in cui sono controindicate procedure di desensibilizzazione, in letteratura sono riportati 2 case report di bambini con pregressa DRESS o TEN 94,95.
Procedure specifiche di desensibilizzazione
Anticorpi monoclonali (mAb)
Sono farmaci sempre più utilizzati nella pratica clinica: si tratta di anticorpi “umanizzati” in quanto costituiti da una parte di origine murina e una parte di origine umana: la sempre maggiore “umanizzazione” sta rendendo sempre più rare le DHR anche se il problema dell’allergia a mAb è tuttora importante in età pediatrica, in quanto si tratta di farmaci utilizzati in bambini con patologie croniche resistenti alle comuni terapie e dove quasi sempre non esistono farmaci alternativi o altrettanto efficaci. Per la desensibilizzazione rapida si parte da una dose iniziale (da 10 a 1.000.000 di volte inferiore alla target) cui seguono, a intervalli fissi, incrementi di dose ogni 15-20 minuti (in 10-13 step) fino al raggiungimento della dose terapeutica. I bersagli cellulari e molecolari di questo tipo di desensibilizzazione non sono completamente noti: oltre alla iporesponsività dei mastociti è ipotizzato che dosi subottimali di antigene possano esporre la mastcellula a eccessive quantità di antigeni monomerici, che non sono in grado di legarsi ai recettori ad alta affinità, ma che hanno la capacità di indurre la loro internalizzazione, facendo diminuire la quantità dei recettori sulla superficie cellulare 90. Nel 2001 Puchner et al. hanno riportato il primo protocollo di desensibilizzazione con infliximab, in due soggetti con reazione anafilattica al farmaco. Il protocollo prevedeva 11 step, con raddoppio della dose a ogni step partendo con il dosaggio di 1/100 della dose finale. Le dosi venivano somministrate ogni 15 minuti con completamento dell’infusione in 4 ore. Non sono state riscontrate reazioni 96. Nel 2003 Chiefetz et al. hanno eseguito la desensibilizzazione per infliximab in 165 pazienti che hanno ricevuto 479 infusioni del farmaco. La desensibilizzazione è stata praticata a partire dalla dose di 10 ml/h per 15 minuti, raddoppiando ogni 15 minuti fino alla dose target. Si sono avute reazioni acute nel 5% dei casi (non accompagnate da aumento della triptasi sierica) e solo in 3 casi (0.6%) reazioni ritardate 97. Nel 2006 Duburque et al. 98 hanno utilizzato un protocollo di desensibilizzazione per infliximab in 11 step in pazienti affetti da morbo di Crohn che avevano presentato reazioni severe al farmaco. I primi 4 step prevedevano incrementi ogni 15 minuti a partire dalla diluizione di 2 x 10-3 mg/ml/kg; gli step successivi erano preparati con una soluzione di 0,2 mg/ml/kg. L’infusione durava 2 ore e 45 minuti. 5 dei 14 pazienti hanno avuto reazioni (4 immediate e una tardiva). Brennan et al. nel 2009 99 hanno applicato un protocollo rapido di desensibilizzazione (in 6 ore) in 6 pazienti con reazioni immediate a infliximab. In 4 pazienti prima della procedura è stata rilevata una ID positiva alla concentrazione di 0,1 mg/ml e 1 mg/ml. Il protocollo comprendeva 13 step: tutti i pazienti hanno ricevuto la dose completa: è riportata una sola reazione allergica durante la procedura. Caimmi et al. hanno usato uno specifico protocollo pediatrico (utilizzato presso il servizio di Allergologia dell’Ospedale Arnauld de Villeneuve di Montpellier) per infliximab in un bambino affetto da colite ulcerosa con buoni risultati 100. Il protocollo prevede 13 step, con dose iniziale di 1 milionesimo della dose totale estep ogni 15 minuti, triplicando il dosaggio a ogni step. Le dosi sono state somministrate dopo premedicazione con clorfeniramina.
Chemioterapici
La prevalenza delle DHR a chemioterapici varia dall’1 all’80% in relazione al tipo di farmaco: in ambito pediatrico i composti che più spesso necessitano di desensibilizzazione sono i sali di platino e l’asparaginasi 101. Nel 2008 Lafay-Cousin et al. 102, in uno studio retrospettivo multicentrico su 105 pazienti pediatrici in terapia con carboplatino, hanno riscontrato 44 casi di DHR (41%). In 18 dei 44 pazienti è stata praticata una premedicazione, in 12 sono state praticate sia premedicazione che desensibilizzazione, non evidenziando differenze di efficacia significative tra i due trattamenti. Verma et al. in 10 pazienti pediatrici con storia di reazioni severe di ipersensibilità a peg-asparaginasi hanno usato un protocollo di desensibilizzazione a 13 step sviluppato da Castells 89 usando 3 differenti concentrazioni e aumentando di 23 volte la quantità di farmaco iniettato tra la penultima e l’ultima dose. In 8 pazienti non si sono verificate reazioni, in 2 reazioni lievi. L’esiguità delle casistiche studiate e i risultati non sempre corrispondenti a quelli sperati hanno indotto diversi autori a considerare misure alternative alla desensibilizzazione come la premedicazione con antistaminico e steroide sospendendo il trattamento per un giorno con ripresa del protocollo il giorno successivo partendo dall’ultima dose tollerata e riducendo la velocità di infusione.
Antibiotici
Protocolli di desensibilizzazione per antibiotici vengono usati soprattutto in alcune classi di pazienti come HIV positivi (per ipersensibilità a sulfamidici) o negli affetti da fibrosi cistica (spesso per ipersensibilità a beta-lattamici). L’efficacia si aggira intorno all’80% dei casi. Il mantenimento della tolleranza è sempre legato all’assunzione continuativa dell’antibiotico e si perde alla sua sospensione; per tale motivo in caso di nuova necessità dello stesso farmaco si dovrà eseguire una nuova procedura di desensibilizzazione.
Conclusioni (Box 1)
Il riconoscimento e la diagnosi delle DHR possono rappresentare una sfida per il pediatra. Quando ci si trova di fronte a un bambino con possibile DHR devono essere registrati il precedente uso, i sintomi, il tempo di latenza della reazione, il decorso e la terapia. Non è raccomandato, se non in emergenza, semplicemente sostituire il farmaco sospetto con un farmaco alternativo di struttura chimica diversa senza chiarire la diagnosi con il work-up allergologico. I farmaci sostitutivi hanno spesso minore efficacia, maggiori costi e maggiori effetti collaterali del farmaco sospetto. Un bambino non va quindi considerato allergico ai farmaci solo in base ai dati anamnestici, ma deve essere sempre sottoposto alla diagnostica allergologica necessaria. È opportuno che l’iter diagnostico di allergia a farmaci sia condotto in centri allergologici con esperienza e personale addestrato. L’iter dipende dal farmaco coinvolto e dalle circostanze in cui la reazione è comparsa (ad es. periodo perioperatorio). È inoltre diverso nelle reazioni immediate rispetto a quelle ritardate. I test allergologici utilizzati sono i test cutanei, sia prick-test che ID e patch test, il dosaggio delle IgE specifiche sieriche e il TPO. Altri test come LTT, ELISpot test e BAT necessitano di ulteriori studi per l’uso routinario. Il TPO deve essere eseguito sotto la stretta sorveglianza di personale esperto capace di gestire l’anafilassi, e nel setting adeguato con disponibili farmaci e strumenti per trattare le reazioni e personale per la terapia intensiva. Il test di provocazione va eseguito quando i test cutanei e in vitro sono negativi. Può essere necessario nelle reazioni lievi sia immediate (orticaria) che ritardate (MPE). In caso di anafilassi, occorre valutare il rapporto rischio/beneficio mentre è controindicato in caso di storia di reazioni pericolose per il paziente (SCAR, vasculiti, reazioni d’organo ed ematologiche). Il TPO può essere eseguito per accertare la cross-reattività del farmaco. In soggetti con DHR verso farmaci privi di alternative è necessario procedere alla desensibilizzazione.
La desensibilizzazione a farmaci richiede la conoscenza di alcuni concetti fondamentali:
- si tratta di una procedura ad alto rischio utilizzabile solo in pazienti in cui le alternative terapeutiche sono poco efficaci o non disponibili e sempre dopo attenta valutazione del rapporto rischio/beneficio. Necessita dello stretto contatto con gli anestesisti per l’immediato intervento in caso di necessità;
- si esegue principalmente in reazioni IgE-mediate sebbene sia attuabile anche nelle PARs e nelle reazioni ritardate a farmaci;
- i protocolli di desensibilizzazione non sono standardizzati. Sono molti e diversi tra loro, disponibili per la maggior parte dei farmaci come antibiotici (soprattutto penicillina, il cui primo protocollo risale al 1940), insulina, sulfamidici, agenti chemioterapici e biologici. Alcuni esempi sono riportati in Tabella IV;
- la necessità di desensibilizzazione si verifica in pazienti particolari, in genere affetti da malattie croniche (fibrosi cistica, AIDS, immunodeficienze, malattie infiammatorie croniche), in cui il numero di farmaci che non danno luogo a resistenze progressivamente si restringe, fino a rendere indispensabile considerare l’uso di farmaci verso cui si è avuta una reazione allergica;
- la desensibilizzazione induce uno stato temporaneo di tolleranza, che può essere mantenuto solo con la somministrazione continua del farmaco. In caso di interruzione della terapia o per trattamenti ciclici come in chemioterapia (dove l’intervallo medio tra i cicli è di 4 settimane) la procedura deve essere ripetuta per ogni nuovo ciclo terapeutico;
- la desensibilizzazione è una procedura efficace e sicura in mani esperte, e costituisce una strategia spesso irrinunciabile per quei pazienti che si trovano di fronte alla prospettiva di interrompere un trattamento efficace (con i relativi rischi relativi di ricaduta della malattia) o di passare a una terapia alternativa potenzialmente meno efficace e spesso più tossica. In questi casi tale procedura costituisce l’importante possibilità di superare l’ostacolo rappresentato dall’allergia al farmaco;
- la densibilizzazione in alcuni casi può fallire. In questi casi è necessario ricorrere ad altre classi farmacologiche.
BOX 1. Reazioni di ipersensibilità a farmaci. I punti fermi.
Le reazioni di ipersensibilità a farmaci sono causa del 3-6% dei ricoveri ospedalieri e avvengono nel 10-15% dei soggetti ricoverati |
Possono causare danni severi, tali da essere causa di morte del paziente |
Un bambino non va considerato allergico ai farmaci in base alla sola anamnesi senza avere condotto la diagnostica allergologica necessaria |
La sostituzione del farmaco sospetto con un farmaco alternativo di struttura chimica diversa senza chiarire la diagnosi con un work-up allergologico non è consigliabile se non in emergenza in quanto il farmaco alternativo possiede spesso minore efficacia, maggiori costi e maggiori effetti collaterali |
La diagnostica di allergia a farmaci deve essere condotta in centri allergologici con esperienza e personale addestrato in questo settore. Varia a seconda del tipo di farmaco, della sua classe di appartenenza, delle circostanze in cui si è verificata la reazione (ad es. periodo perioperatorio) |
L’iter diagnostico è diverso nelle reazioni immediate e ritardate |
I meccanismi patogenetici della ipersensibilità a farmaci sono diversi e non sempre esplorabili con i test allergologici routinari (test cutanei, ricerca delle IgE specifiche). LTT, ELISpot test e BAT necessitano di ulteriore validazione per l’uso routinario |
Quando indicato, il test di provocazione deve essere eseguito sotto stretta sorveglianza di personale formato al trattamento dell’anafilassi, e con accesso alla rianimazione in caso di emergenza. Il test di provocazione è controindicato in caso di storia di reazioni pericolose per il paziente (SCAR, vasculiti, reazioni d’organo ed ematologiche) mentre, in caso di anafilassi, occorre valutare il rapporto rischio/beneficio |
Alcuni pazienti presentano ipersensibilità a farmaci non sostituibili (ad es. insulina, farmaci biologici, chemioterapici). In questi casi è necessario il ricorso a procedure di desensibilizzazione |
Figure and Tabella
Farmaci | Prick test | Intradermoreazioni |
---|---|---|
Antibiotici | ||
PPL | 5 × 10-5 mol/L | 5 × 10-5 mol/L |
MDM | 0,02 mMol/l | 2 x 10-2 mMol/l |
Benzilpenicillina | 10 000 IU/mL | 10 000 IU/mL |
Amoxicillina | 20-25 | 20-25 |
Cefepime | 2 | 2 |
Altre cefalosporine | 20 | 20 |
Acido clavulanico | 20 | 20 |
Aztreonam | 2 | 2 |
Imipenem-cilastatina | 0,5 | 0,5 |
Meropenem | 1 | 1 |
Claritromicina | 50 | 0,05-0,5 |
Azitromicina | 100 | 0,01 |
Clindamicina | 150 | 15 |
Gentamicina | 40 | 4 |
Levofloxacina | 5 | 5 |
Vancomicina | 50 | 5 |
Cotrimossazolo | 80 | 0,8 |
Biologici | ||
Abciximab | 0,2-2 | 0,2-2 |
Abatacept | 25 | 0,025-0,25-2,5 |
Anakinra | Indiluito | - |
Adalimumab | 40 | 0,4 |
Basiliximab | 4 | 0,4-400 |
Bevacizumab | 25 | 0,25-2,5-25 |
Cetuximab | 2 | 0,5 |
Etanercept | 50 | 0,05-0,5-5 |
Infliximab | 10 | 0,1-1-10 |
Natalizumab | 20 | 2 |
Omalizumab | 125 | 0,00125 |
Pertuzumab | 1,6 | 0,16 |
Rituximab | 10 | 0,01-0,1-1 |
Tocilizumab | 20 | 0,2-2-20 |
Trastuzumab | 21 | 0,21-2,1 |
FANS | ||
Paracetamolo | 10 | 1 |
Metamizolo | 40-400 | 0,4-4 |
Perioperatori | ||
Bupivacaina | 2,5 | 0,2 |
Lidocaina | 10 | 1 |
Mepivacaina | 10 | 1 |
Midazolam | 5 | 0,5 |
Propofol | 10 | 1 |
Thioipental | 25 | 2,5 |
Atracurium | 1 | 0,01 |
Cisatracurium | 2 | 0,02 |
Pancuronium | 2 | 0,2 |
Rocuronium | 10 | 0,1 |
Vecuronium | 4 | 0,4 |
Fentanyl | 0,05 | 0,005 |
Alfentanyl | 0,5 | 0,05 |
Remifentanyl | 0,05 | 0,005 |
Sufentanyl | 0,005 | 0,0005 |
Morfina | 1 | 0,01 |
PATCH test per anticonvulsivanti | ||
Carbamazepina | 1% (ingrediente attivo) | |
Idantoina | 10% (olio di vaselina) | |
Lamotrigina | 10% (olio di vaselina) | |
Sodio valproato | 1% (ingrediente attivo) |
Cefalosporine (dosi ogni 15-20 min EV) | |||
---|---|---|---|
Dose cumulativa 1 g | Dose cumulativa 2 g | ||
Step | Dose (mg) | mg arrotondati | mg arrotondati |
1 | 0,1 | 0,1 | 0,01 |
2 | 0,2 | 0,2 | 0,4 |
3 | 0,7 | 1 | 1 |
4 | 2,2 | 2 | 4 |
5 | 6,9 | 10 | 10 |
6 | 21,8 | 20 | 40 |
7 | 69 | 70 | 140 |
8 | 218 | 200 | 400 |
9 | 689,7 | 700 | 1400 |
Dose cumulativa | 1008,6 | 1003,3 | 1995,5 |
Cotrimossaxolo (dosi ogni 20 min per OS) | |||
Dose | TMP-SMX (mcg) | Dose | TMP-SMX (mg) |
1 | 1/0,2 | 7 | 1/0,2 |
2 | 3/0,6 | 8 | 3/0,6 |
3 | 9/1,8 | 9 | 9/1,8 |
4 | 30/6 | 10 | 30/6 |
5 | 90/18 | 11 | 90/18 |
6 | 300/60 | 12 | 300/06 |
Rituximab (dosi ogni 15 min EV) | |||
Soluzione | Velocità (ml/h) | Volume infuso (ml) | Dose somministrata/cumulativa |
1 | 2 | 0,5 | 0,0221/0,0221 |
1 | 5 | 1,25 | 0,0553/0,0774 |
1 | 10 | 2,50 | 0,1106/0,1880 |
1 | 20 | 5 | 0,2212/0,492 |
2 | 5 | 1,25 | 0,5530/0,9622 |
2 | 10 | 2,5 | 1,1060/2,0682 |
2 | 20 | 5 | 2,2120/4,2802 |
2 | 40 | 10 | 4,4240/8,7042 |
3 | 10 | 2,5 | 10,9730/19,6772 |
3 | 20 | 5 | 21,9459/41,631 |
3 | 40 | 10 | 43,891885,5149 |
3 | 80 | 232,5 | 1020,4851/1106,0000 |
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